Trasferirsi in giappone… e la lingua?

Ultima modifica 10 Ottobre 2019

Vivo in Giappone da ormai otto anni, e parlo la lingua. Non credo di essere poi così brava, ma ricevo sempre qualche complimento.

In questo paese esiste la convinzione che la lingua sia molto difficile da imparare per gli stranieri, e chiunque mostra una padronanza minima viene riempito di complimenti. Sono veramente gentili, ma diciamo che per riuscire occorrono obiettivi che non tutti riescono a raggiungere (ed io per prima).

japonese Io non ho studiato lingue all’università. Mi preoccupavo di ben altro, cercando di realizzare il mio sogno di lavorare in archeologia. Ho cominciato ad avvicinarmi alla lingua giapponese solo quando ho conosciuto quello che è diventato mio marito. Avevo conosciuto ‘un giapponese interessante’, lui si era dichiarato ed io avevo risposto positivamente, quindi dovevo cercare assolutamente un modo per imparare la sua lingua!!
Così decisi di utilizzare le mie visite in Giappone per studiare in una scuola di lingue.

Lo ammetto, la decisione era stata presa dopo lunghissima riflessione.
Il punto dolente era l’aspetto economico: purtroppo le scuole di lingua sono piuttosto costose, e io avevo appena cominciato a lavorare come insegnante precaria, con incarichi che non superavano le due settimane di lunghezza massima.  Poi c’era anche un altro aspetto da non trascurare: vivendo ancora coi miei genitori, mia madre non vedeva di buon occhio il fatto che spendessi i miei risparmi in questo modo. E, in linea di principio, le sue preoccupazioni erano comprensibilissime.

E’ così ho cominciato la mia avventura in Giappone: non esattamente motivata.

Dopo la laurea avevo messo al primo posto altre cose, e l’idea di rimettermi a studiare non mi riempiva di gioia. Ma dovevo impegnarmi per forza. Del resto, quando ci si trova lontani dal proprio paese, anche senza volerlo, un po’ di grinta viene sempre fuori. Se poi si fa per amore…

La vita a scuola era molto interessante. In un primo momento sono stata l’unica italiana, e questo mi ha aiutata parecchio: non avendo nessuno con cui parlare la mia lingua non potevo assolutamente evitare di impegnarmi. Frequentare una scuola di giapponese in una città dove chiunque cerca di parlare con te rappresenta sicuramente un bell’incentivo. Ed io ho sempre amato Osaka.

Però non è stato facile.
In un primo tempo lo studio mi portava via pochissimo, si procedeva piano e potevo dedicarmi con calma agli aspetti che mi interessavano di più, come quelli relativi alla scrittura degli ideogrammi.

Perchè il giapponese, come molti sapranno, utilizza tre diversi tipi di alfabeto sillabico: gli hiragana, i katakana e i kanji.
I primi due sono composti da una serie di sillabe, indicate da con un unico carattere: la differenza è il campo di utilizzo: gli hiragana si usano normalmente nella lingua giapponese scritta, insieme ai katakana e ai kanji, mentre i katakana si usano per le parole straniere trascritte in giapponese, e in casi particolari.

Poi lo studio si è fatto più impegnativo. Seguivo le lezioni, andavo a lavorare e cercavo di parlare la lingua in ogni modo.
Volevo lavorare e cercare di capire se il Giappone poteva fare al caso mio. Ma avevo paura di buttarmi: nei negozi usavo frasi ridotte al minimo, in casa si parlava ancora prevalentemente inglese (la lingua con cui ci eravamo conosciuti).
Fino a quando, ad un certo punto mi sono resa conto che stavo cominciando a uscire dal bozzolo: prima con frasi brevi, e semplici, e poi con frasi sempre piu’ articolate.

Daniela la chiaccherona, quella che parlava con tutti e non smetteva mai, era finalmente tornata! E adesso poteva sbizzarrirsi in una lingua diversa dall’italiano.

Da quel momento in poi le cose sono andate decisamente meglio per me. Non so dire cosa pensassero i giapponesi che mi sono trovata davanti in quel periodo: il grande entusiasmo iniziale non era supportato da una buona pronuncia, e il mio giapponese era soltanto una traduzione del discorso italiano che io volevo fare alla persona che mi stava di fronte.

In certi casi, posso dire con sicurezza che la colpa non era mia.
Mi riferisco a tutti quei momenti che capitano a qualsiasi straniero in Giappone, i momenti in cui il tuo interlocutore si fa prendere dal panico perchè teme che tu possa rivolgergli la parola in inglese. Non credo che succedano anche altrove, ma in Giappone sono abbastanza comuni.
L’episodio più buffo mi era capitato in un negozio di scarpe di Osaka: dopo aver chiesto, in giapponese, se avevano il mio numero di scarpa per un paio che mi era capitato sotto mano, il commesso, preoccupatissimo, mi aveva risposto in giapponese: “mi spiace ma non parlo inglese”! Ancora adesso rido ricordando questo fatto,  ma ricordo di essermi guardata intorno chiedendomi se non si trattasse di uno scherzo organizzato per un qualche programma televisivo.

Nonostante siano passati otto anni, esiste ancora, un problema serio per me: la pronuncia dei suoni contenenti la lettera “h” per me è un problema insormontabile anche oggi. Alla scuola di giapponese avevano provato di tutto, per poi arrendersi all’evidenza con un’alzata di spalle e una frase: “per te questi suoni sono impossibili”. Una persona diversa forse avrebbe preso questo giudizio come un fallimento, io invece ho semplicemente capito una cosa essenziale: imparare le regole che stanno alla base di una lingua straniera è fondamentale, ma poi è necessario dare una propria interpretazione.

Fin quando la lingua straniera rimane un corpo estraneo, con cui fare i conti, non si riesce a padroneggiarla. Quando la lingua straniera viene accettata, e diventa qualcosa di familiare, allora si riesce a gestirla al meglio. Anche se si tratta di una lingua che a prima volta può sembrare impossibile.

Quindi coraggio: se volete studiare le lingue, o ne avete bisogno per trasferirvi all’estero o altro, non vi resta che provarci. Se darete il meglio resterete comunque soddisfatti.

Daniela Matta

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