L’altra faccia dell’11 Settembre

Ultima modifica 11 Settembre 2020

Quel giorno stavo uscendo dall’ufficio quando la mia collega mi disse che c’era stato un incidente e un aereo si era schiantato contro un grattacielo di New York.

Ammetto di aver pensato mille e mille volte alle famiglie delle vittime.

Quelle dei pompieri, degli impiegati ma anche, e forse ancor di più, di quelle che erano su quei 4 maledetti aerei. Ma ho solo pensato a quelli. Alle vittime delle persone direttamente coinvolte. In quei giorni poi stavo per scoprire di essere incinta della mia seconda figlia. Quanti dubbi, quante perplessità.

11 settembre america

Quante volte abbiamo visto, e ancora vedremo, queste immagini?

Ma avete mai pensato a quello che è successo quel giorno nei cieli americani?

Non mi sono mai posta la domanda di cosa sia successo a chi quel giorno stava arrivando in America. Poi qualche giorno fa una mia amica americana condivide questo articolo: Take a Gander at This Amazing, Yet Little Known, 9-11 Story.
Purtroppo l’articolo è in inglese e non ne ho trovata una versione in italiano ma ho trovato questo trafiletto: GANDER – 11 SETTEMBRE 2001/2011.

Riassumendo il contenuto.

L’11 Settembre 2001, alle 9 del mattino, un numero elevato di aerei si trovava in volo, partiti da ogni angolo del mondo e diretti in vari punti degli Stati Uniti d’America.
Pochi minuti dopo l’attentato, quando era chiaro che si trattava di un attentato e non di un incidente assurdo, i cieli americani sono stati CHIUSI.
Nessun tipo di aereo poteva penetrare quel muro che sembrava essersi improvvisamente alzato.
Ai piloti è giunta la comunicazione che “A causa di un grave incidente, lo spazio aereo americano era stato immediatamente chiuso.
Avete due possibilità: o tornare indietro o trovare il primo aeroporto nelle vostre immediate vicinanze disposto a farvi atterrare. Aspettate ulteriori comunicazioni
“. Nessuno sapeva di cosa si trattasse, ma di sicuro si trattava di qualcosa di grave. E, soprattutto, nessuno sapeva per quanto tempo lo spazio aereo sarebbe rimasto chiuso.

Il Canada era il paese più prossimo agli USA che poteva eventualmente accogliere alcuni voli. In Canada c’è un isola che si chiama Newfoundland, dagli italiani conosciuta come Terranova. All’interno di quest’isola si trova Gander, una cittadina con poco più di 10 mila anime.

Newfoundland, in Canada, e Gander.

Gander ha un aeroporto che negli anni 30-50 era il più grande del Nord America (USA e Canada insieme). Usato molto anche durante la guerra per i rifornimenti degli aerei.

Nel momento in cui giungeva la notizia dell’attentato e della conseguente chiusura dello spazio aereo americano, le autorità di Gander, come a leggersi nel pensiero, hanno subito capito che dovevano fare atterrare più aerei possibile nel loro aeroporto.
Quindi si sono mobilitati per segnalare ai piloti la disponibilità della pista. Bene.
Sono atterrati 38 aerei. Fra personale di bordo e passeggeri, c’erano circa 10 mila persone più gli animali.

Nel frattempo i piloti sono stati avvisati di quando era accaduto ma hanno deciso di non dare la notizia ai passeggeri finché non fossero atterrati e hanno parlato di un piccolo guasto. Una volta a terra hanno spiegato l’accaduto. Ovviamente senza immagini a disposizione, nessuno aveva davvero capito l’entità dell’attentato. In attesa di nuove istruzioni, tutti i passeggeri sono rimasti a bordo.
Dopo diverse ore hanno pensato che conveniva farli scendere.
Ma prima bisognava trovare una sistemazione: mica avevano 10 mila posti letto a disposizione!

Ed ecco che il rubinetto del volontariato, che qui in Nord America è veramente vivo e attivo, si è aperto: ogni cittadino di Gander e delle cittadine limitrofe ha letteralmente messo la propria vita in stand-by.
Hanno svuotato le loro case prendendo materassi, cuscini, coperte e portando tutto nelle chiese, nelle scuole… ovunque ci fosse spazio per accogliere tante persone. I negozi hanno raccolto tutto, dagli spazzolini alla carta igienica, sapone… Tutto!  e portato a chi ne aveva bisogno (perché nessuno poteva portarsi via il bagaglio in stiva, solo quello a mano.). Asciugamani, vestiti, saponi, biancheria.

Tutti hanno messo a disposizione TUTTO.

E poi hanno cominciato a cucinare per nutrire le persone e soddisfare ogni esigenza. I ristoranti hanno aperto ai passeggeri senza chiedere soldi, i supermercati anche. Addirittura un grande rivenditore di giocattoli ha svuotato i propri scaffali e mandato dei camion a svuotare gli scaffali nelle cittadine intorno, per dare giocattoli ai bambini. Insomma, pensate una cosa e loro l’hanno fatta.
Creando una vera catena di volontariato: dagli studenti delle scuole ai preti, ogni abitante era a disposizione dei passeggeri.
Alcuni hanno ospitato i più bisognosi (anziani o disabili) in casa loro, altri offrivano le loro docce. E le lavatrici di ogni cittadino andavano a ciclo continuo. E così pure i fornelli.

Quindi un aereo per volta, hanno fatto scendere tutti i passeggeri e con gli autobus gialli delle scuole, li hanno portati nei vari centri pronti ad accoglierli.

Su quei voli c’era davvero di tutto: due famiglie che arrivavano dal Kazakhstan (o giù di lì!) dove avevano adottato delle bambine; un pezzo grosso di Hugo Boss, anziani, donne incinte, ebrei, moldavi, ragazze alla prima vacanza. I genitori di uno dei pompieri che è andato in soccorso alle torri, e la sorella di una passeggera di uno degli aerei andato contro la torre. Immaginate voi.

Una più approfondita indagine mi ha portata a scoprire l’esistenza di un libro che racconta tutto questo: THE DAY THE WORLD CAME TO TOWN: 9/11 IN GANDER, NEWFOUNDLAND. Se sapete l’inglese ve lo consiglio (si trova in ebook). Altrimenti dovete accontentarvi di immaginarlo da quello che vi ho raccontato io.

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