La scuola dell’inclusione esclude il presepe?

Ultima modifica 20 Giugno 2019

Deve essere la paura. Sì, quella paura di mostrarsi per come si è e, contemporaneamente, accettare gli altri per quello che sono. I due atteggiamenti sono complementari, a formare una figura “piana” o meglio “appiattita”. Tutte delle sfoglie d’uomo

PresepeParlo dell’ennesimo annullamento del Presepe in una scuola.
Il preside ha parlato del provvedimento preso in accordo con gli insegnanti e di motivazioni quali l’inclusione.
Perché questa paura di pestare i piedi, di mettere coperte su coperte, come se avessimo qualcosa da nascondere?
O forse pensiamo che nascondendo tutto non avremo “rotture” in una realtà complicata?

Ora, inclusione, per me, comporta un aggiungere, un moltiplicare, un arrivare da ogni parte per costruire una comunità che riesca a contenere l’identità di tutti.
La cosiddetta scuola inclusiva si spiega con la pluralità dei percorsi convogliati  in una realtà, in modo che tutti possano riconoscersi.
La mia prof di filosofia: “Io sono atea e mia mamma va alla messa tutti i giorni. Io non capisco lei e lei non capisce me. Lei ha il crocifisso in ogni stanza. Io non ho niente. Lei guarda il suo crocifisso e io guardo il mio niente. Viviamo benissimo insieme. Ridiamo anche!”
Nel corso del mio lavoro ho incontrato genitori musulmani e genitori cattolici che mai hanno avuto problemi nel confronto: vivono benissimo insieme e, anzi, si aiutano senza aspettare troppe richieste.
Se genitori cattolici hanno preparato la merenda,  per festeggiare a scuola, sono arrivati panini al salame e panini con fesa di tacchino.
Se ogni anno facciamo lavoretto e biglietto di Natale,  ogni anno lo personalizziamo cercando per i bambini musulmani un soggetto adeguato, senza per questo lasciare gli altri privi di riferimenti al nostro Natale cristiano.
E nessuno ha allergie e attacchi di panico. E’ tutto normale. Ad ognuno il suo.
Pensare che all’ingresso abbiamo anche il Presepe! Ma, incredibilmente, i bambini e i genitori musulmani ci passano davanti senza essere costretti a guardarlo. E se lo fanno per curiosità, non sarà per loro una ferita ma un’occasione di conoscenza.
Nelle nostre classi si è parlato del Ramadan come della Vigilia di Pasqua, dei loro significati e motivi ed ogni giorno c’è stata la possibilità di raccontare tradizioni e riti delle religioni praticate.
Secondo me, è proprio dove questa serenità non c’è, che la scuola dovrebbe insistere  nell’accogliere le tutte le identità senza commettere lo sbaglio di calare il sipario su tutto.
Conoscersi per conoscersi, parlarsi, non per convincere gli altri, ma per spiegare se stessi.
Adeguarsi a questa mediocre spersonalizzazione di tutti è una regressione civile.
Sì, stiamo regredendo e non smettiamo. A me questo spaventa. Non ce la facciamo a svoltare.
E per concludere, cosa insegniamo ai nostri figli? Che per essere accettati basta nascondere la propria identità e che le verità di ciascuno non contano nulla. E poi questi divieti nati veramente da un “nulla” scatenano sempre rabbia e risentimento. Chi non può esprimere pacificamente ciò che è, si sente inevitabilmente discriminato.

Ylenia Agostini

 

 

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

GLI ULTIMI ARTICOLI

More article