Parto anonimo. Verso il “ripensamento”

Ultima modifica 24 Ottobre 2019

Per la legge italiana non si diventa mamma e papà automaticamente, al momento del parto; è la dichiarazione di nascita o il riconoscimento a farci genitori di quel bambino appena venuto al mondo.

Parto anonimo

La donna che partorisce può anche non riconoscere il bambino, e se neppure il papà lo fa si aprono le pratiche per la dichiarazione di adottabilità.

È una scelta di responsabilità e di apertura alla vita.

Quella donna affronta il percorso della gravidanza, i tanti mutamenti fisici e psicologici che porta con sé, il travaglio del parto e l’esperienza della nascita sapendo di non poter crescere quel bambino, per dargli la possibilità di vivere e di essere felice, con una famiglia che se ne possa prendere cura.

Se tutto andrà per il meglio ci saranno una nuova mamma e un nuovo papà.
Quel bambino diventerà un adulto e dovrà essere informato della sua storia adottiva, e a venticinque anni potrà domandare al Tribunale per i Minorenni di essere autorizzato a conoscere il nome della madre che l’ha dato alla luce, e attraverso lei ricostruire le proprie radici, la sua storia personale, e magari conoscere anche eventuali fratelli o sorelle di sangue.

C’è però un’eccezione, conosciuta solo da Italia, Francia e Lussemburgo.

La madre può, al momento del parto, chiedere di restare anonima anche rispetto alle ricerche successive del proprio figlio. Un anonimato che pesa per cento anni dalla nascita, e di fatto impedisce ai più di riallacciare i nodi della propria storia.

L’anonimato serve senza dubbio a stimolare la scelta del parto ed evitare l’aborto. Tiene la mamma al riparo dal peso della responsabilità dell’abbandono, perché mai il figlio la potrà ricercare e riportarla dinnanzi alla scelta che fece quel giorno.

Parto anonimo

Ma quel figlio (o i suoi figli) può sviluppare malattie genetiche curabili solo conoscendo i dati dei propri ascendenti. Come avviene per il linfoma non Hodgkin ma anche per il diabete mellito, e ancora più spesso può manifestare gravi difficoltà psicologiche specialmente durante l’adolescenza, quando tutti i ragazzi hanno bisogno di sapere da dove vengono per conoscersi davvero, ed affrontare le sfide della vita.

E quella mamma spesso vive un travaglio interiore pesantissimo.

Non può più tornare a cercare quel figlio per ricucire una ferita che continua a sanguinare specialmente quando sono superate le difficoltà economiche e personali che hanno imposto l’abbandono, e magari sono arrivati altri figli.

In una sentenza del 25 settembre 2012 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato questa grave violazione del diritto alla vita privata, tutelato dall’art. 8 della Convenzione Europea. Ha imposto un ripensamento della nostra legge volto a consentire al figlio di conoscere dati non identificanti della madre, come ad esempio la sua anamnesi o il DNA, e a permettere alla donna di ripensare la sua scelta di anonimato, e farsi conoscere dal proprio figlio.

Saranno passati tanti anni (almeno 25 secondo i progetti di legge di modifica che pendono da anni all’esame delle nostre camere) e quella mamma non troverà un giudice e una condanna, ma un giovane uomo che la cerca per ringraziarla. Una giovane mamma che vuole farle conoscere un nipotino, e vedere nei loro tratti il segno di una storia d’amore condivisa.

Un Comitato per il Diritto alle Origini raccoglie persone che hanno vissuto questa esperienza. Sostiene la modifica della legge italiana, per rimuovere la condanna dei cento anni di silenzio, raccogliendo l’attenzione delle persone più sensibili.

Provate a leggere nella loro pagina facebook le storie di chi cerca la sua mamma biologica, senza nulla togliere all’amore per i genitori adottivi.
Non vi troverete nessuna condanna. Ma la foto di uno striscione che parla da solo “Ti cerco per dirti grazie per avermi dato la vita”.

Troverete anche l’invito a sostenere con una petizione on line questa conquista di civiltà e di amore.

Si può essere genitore single anche così,.

Scegliendo di sacrificare la propria vita per dare a quel figlio la fortuna di vivere ed essere amato, anche quando la mamma non può farlo.
E correndo al suo soccorso quando, per vivere felice e sano, ha bisogno ancora della sua mamma naturale.

2 COMMENTS

  1. […] L’anonimato e i diritti dei neonati VLADIMIRO ZAGREBELSKY La legge sulla fecondazione medicalmente assistita esclude la possibilità della madre di dichiarare di voler rimanere anonima e persino stabilisce che, nel caso di inseminazione eterologa, il coniuge o il convivente che ha consentito non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità.   La volontà di generare un figlio non può dunque essere revocata. Questa la legge vigente. Ma ora alla Camera dei Deputati è stata approvata (ancora in Commissione) una modifica, che ammette il «parto anonimo»: la madre vuole rimanere anonima e per il figlio si apre la procedura di adozione. Ma tutti hanno diritto al rispetto dell’identità personale. I limiti che la legge impone alla possibilità di conoscere l’identità dei genitori e la propria ascendenza devono quindi essere mantenuti nello stretto necessario, quando essa confligga con la tutela di altri diritti fondamentali. In tal senso si è da tempo pronunciata la Corte europea dei diritti dell’uomo. Essa ha esaminato recentemente il caso italiano e la legge che vieta che venga svelata al figlio l’identità della madre, che partorendo abbia dichiarato di voler mantenere l’anonimato. La violazione del diritto del figlio a conoscere le proprie origini biologiche è stata vista nel fatto che – a differenza delle regole vigenti negli altri Paesi europei che permettono il parto anonimo – la legge italiana non ammette eccezioni o limiti temporali. Il diritto del figlio è annullato dalla decisione della madre di abbandonarlo e di rimanere per sempre inconoscibile. L’esigenza di trovare una disciplina che riesca a contemperare l’interesse della madre e il diritto del figlio, con procedure e valutazioni che permettano di superare l’anonimato, deve ora trovare riscontro nella legge italiana. Rimane superata la diversa posizione assunta nel 2005 dalla Corte Costituzionale, che aveva ritenuto che la possibilità di vincere l’anonimato della madre avrebbe comunque impedito di «assicurare che il parto avvenga in condizioni ottimali, sia per la madre che per il figlio, e … distogliere la donna da decisioni irreparabili, per quest’ultimo ben più gravi». La Corte si riferiva all’intenzione della legge di evitare parti clandestini, aborti clandestini, infanticidi. Così decidendo però la Corte metteva nel nulla il diritto del figlio alla propria identità (persino quando esistano motivi di salute che richiedano la conoscenza dell’identità dei genitori). E lo faceva richiamando le «situazioni particolarmente difficili dal punto di vista personale, economico o sociale» in cui la madre sceglieva l’anonimato e l’abbandono del figlio. Ora quando la madre si trovi in condizioni drammatiche, tanto gravi da indurla a rinunciare al figlio, si può capire che la legge ammetta il parto anonimo. Ma la legge non richiede che vi siano motivi gravi per la scelta dell’anonimato e la madre può rifiutare il figlio solo perché concepito fuori del matrimonio o non desiderato. In tal modo essa semplicemente si sottrae ai doveri di genitore. L’anonimità della madre, tanto più se unita all’impossibilità assoluta di superarla, dovrebbe essere riservata a situazioni estreme. E’ incomprensibile quindi che la si ammetta anche nel caso di donna che partorisca a seguito di fecondazione medicalmente assistita: dopo quindi una scelta consapevole, una volontà di generare fermamente manifestata nella lunga e gravosa procedura medica. Proprio per questo è probabile che questa nuova possibile scelta non venga mai esercitata. La riforma assume allora un più che discutibile valore di principio: un generale diritto di rifiutare il figlio al momento del parto. E’ stato detto in proposito che «tutte le madri sono eguali». Vero, ma le condizioni in cui si diventa madri non lo sono. E i figli hanno diritti. Fonte di provenienza dell’articolo  leggi anche Parto anonimo. Verso il “ripensamento” […]

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