L’ora di felicità. Nella scuola italiana non sembra, ma c’è

Ultima modifica 20 Giugno 2019

 

Bellissima l’ora di felicità a scuola. Bellissima, veramente.
Si diffonde quest’idea da Victoria, in Australia, come rimbalzi di  arcobaleno anche in Germania e in Buthan.  felicità
Bisogna vedere da quale abisso si devono  tirare fuori i ragazzi  e qual è il contesto sociale che li circonda. Comunque tanto di cappello. Bene. “Il Regno di Buthan ha sostituito l’acronimo PIL (Prodotto Interno Lordo) con FIL (Felicità Interna Lorda). Nelle aule scolastiche, accanto ai libri, sono entrati a far parte del sistema scolastico anche la meditazione, la preghiera e la felicità.” Ottimo.Scusate il velo ironico.
Lasciando a sé il Buthan, perché il sistema M.P.F. mi sembra un po’ fuori dal nostro modo di fare scuola, consideriamo le altre due realtà: si parla, non tanto di felicità quanto di attività per far in modo che gli studenti sviluppino il senso di appartenenza alla comunità, la consapevolezza delle proprie capacità e l’autostima.

Per la serie “noi italiani, pedagogicamente, ci siamo già”: #noncen’eravamoaccorti.
Indicazioni Nazionali per la scuola dell’infanzia e primaria; settembre 2012, prefazione:

Lo studente è posto al centro dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, estetici, etici, spirituali, religiosi. In questa prospettiva, i docenti dovranno pensare e realizzare i loro progetti educativi e didattici non per individui astratti, ma per persone che vivono qui e ora, che sollevano precise domande esistenziali, che vanno alla ricerca di orizzonti di significato.”

“In quanto comunità educante, la scuola genera una diffusa convivialità relazionale, intessuta di linguaggi affettivi ed emotivi, e è anche in grado di promuovere la condivisione di quei valori che fanno sentire i membri della società come parte di una comunità vera e propria. La scuola affianca al compito “dell’insegnare ad apprendere”, quello “dell’insegnare a essere”.
Quanti genitori sono andati a leggersele? Eppure è uno dei documenti più importanti e più ben fatti che riguardino i nostri  figli.
L’informazione permette anche di rivendicare questa realtà ipotizzata dalle indicazioni, qualora non venisse considerata in qualche istituto o in qualche classe.
 E non è neanche un’ora, ma, accanto all’istruzione, è l’essenza della scuola stessa spalmata su tutte le discipline, come abbiamo letto.

C’è qualche considerazione accessoria da fare. La scuola, in Italia, senza una rete sociale forte, senza uno stato che crei spazi mentali di speranza per il futuro sereno della famiglia (intesa come chi si prende cura veramente dei figli), senza accordo diffuso con quest’ultima sui valori essenziali di rispetto per persone e cose, partecipazione, collaborazione, co-responsabilità, raccoglie l’acqua con il colino.
Gli insegnanti, pur programmando una strada con obiettivi e percorsi ben precisi, assistono faticosamente a questa dicotomia: una parte non esigua delle famiglie, sbagliando, delega l’azione educativa alla scuola che non arriva a coprire ovviamente il vuoto; un’altra parte non è affatto interessata al tempo scuola utilizzato per la crescita civile del proprio figlio, chiedendo, essenzialmente e freddamente, istruzione. Questo divario deriva, fondamentalmente, da una visione sempre più “aziendale” della scuola, dove l’utenza (freddo nome) crede di poter disporre dell’insegnamento a suo favore e il brutto è che, in entrambi i casi, il suo sforzo non è riconosciuto.    
Forse per questa impotenza di fondo e per i risultati del suo impegno che spesso stentano a vedersi, andiamo a cercare in ogni parte del mondo modelli miracolosi di scuola (di cui, per altro, non conosciamo il successo).

La buona  scuola, in una situazione sociale in disgregazione, anche a causa di modelli di inconsistenza etica che si sono fatti avanti (e li abbiamo lasciati fare, siamo sinceri) in tutti i livelli sociali , non alza le mani comunque, anche se si sente spesso sola nel compito educativo.
Certo che c’è anche l’insegnante che si preoccupa solo dell’istruzione degli studenti  e che non avvia il richiamo costante alla cittadinanza attiva, per qualsiasi attività (e a qualche genitore piace molto lo stesso).
L’invito al rispetto dell’altro e della comunità, a scuola, si promuove anche nel turno per andare in bagno, nel pretendere l’ascolto dell’altro, nella riflessione ogni volta che la prepotenza e la prevaricazione prendono piede, nel fermarsi insieme intorno ad un compagno che piange per capire cos’ha. Ogni occasione è buona.

maestri di strada onlusSe poi si leggono libri in proposito, si programmano attività ad hoc come una recita teatrale con tematiche relative, uscite alla scoperta del proprio quartiere, piccoli progetti per il suo miglioramento, la partecipazione e l’iniziativa nel creare piccoli eventi di aggregazione, allora la spinta verso il proprio ambiente e la scoperta che ognuno è importante, sono realiI nostri strumenti didattici per fortificare la persona sono l’incoraggiamento, il sostegno nel percorso scolastico, il riconoscimento di ogni piccolo miglioramento, la personalizzazione di un percorso.

Fatemelo dire, noi Italiani siamo un po’ così: o ci basta un nome, una legge, una regola che già pensiamo sia attiva, così… gratuitamente, oppure vediamo l’erba del vicino come più verde, senza considerare le ricchezze nascoste che già abbiamo. In realtà, per rendere esecutiva una norma, bisogna avere almeno i basilari e lavorarci duramente per crescere. Oggi abbiamo un po’ perso il valore dell’educazione, quella battente, quella che guida i bambini nel rispetto di tutto ciò che li circonda.
Per dire una sciocchezza: bambini che si preoccupano di non sbriciolare in terra la merenda, di gettare la carta nel cestino, di scaricare in bagno e di non pestare su un giacchino caduto, ma lo raccolgono, risolvono già molto e permettono di andare oltre nell’educazione alla cittadinanza, di puntare più in alto per la formazione del sé.

Noi, comunque, tutto il materiale pedagogico- educativo necessario, ce l’abbiamo.
Ma se un bambino ha problemi seri di disagio sociale, di insicurezza, di frustrazione, hai voglia a mettere in piedi super progetti dai nomi aulici. Lì ci vuole di metterci l’anima, ogni giorno, da persona a persona e lavorare tanto ma tanto col gruppo classe solo per lui. E tanto, spesso e purtroppo, non basta. Ci vuole del tempo, non programmato. Quando c’è il problema, è in quel momento che si deve agire. Chi, tra i genitori, reputa questo tempo solo un guadagno? Spero la maggior parte, ma non ne sono sicura.
Riguardo ai disagi importanti che la scuola italiana e le associazioni  supportano (altro che “ora di felicità”) riporto questo sito, qui; anche questo progetto, nato in un ITCS di Milano, finanziato dalla regione Lombardia, da leggere attentamente, qui. Inoltre, per scorrere l’Italia, un progetto nato anni fa, che ha comunque lasciato uno strascico importante in molte scuole umbre .

 Il bello è che di questi progetti ce ne sono e ce ne sono stati a migliaia. L’ora di felicità. Sì.

Ylenia Agostini

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