Il mio parto in cina, con la traduzione sul cellulare

Ultima modifica 10 Ottobre 2019

Ho partorito il mio terzo figlio in Cina, a Suzhou. E’ stata un’esperienza molto bella ed ho vissuto gravidanza e parto con serenità.

In questi ultimi anni, nel nostro giro di conoscenze sono state moltissime le straniere che hanno dato alla luce un bebè: la maggioranza di noi non lavora ed i ritmi molto meno frenetici, oltre al fatto che in Cina è davvero facile ed economico trovare un aiuto in casa (le famose ayi) invogliano ad allargare la famiglia.

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Solitamente le straniere partoriscono nelle cliniche di Shanghai, lussuose e con tutti i confort possibili ed immaginabili: io ho scelto invece di restare a Suzhou e partorire in un ospedale pubblico.
Per certi versi è stata una scelta obbligata: le cliniche presentano parcelle stellari e se una, com’ero io che non mi aspettavo il terzo figlio, non è coperta in tutto e per tutto dall’assicurazione sanitaria, i costi sono davvero proibitivi. Anche l’ospedale si paga, ma l’impegno economico è decisamente affrontabile!

Nell’ospedale che ho scelto io c’è la sezione “VIP”, chiamata così perché lì le infermiere parlano inglese e fanno da traduttrici coi medici. Essere “VIP” ti permette anche di saltare la fila agli esami e per i prelievi. Ovviamente per beneficiare di questo trattamento di favore devi pagare il doppio rispetto alle normali visite.

Qui in Cina iniziano a visitare dalla dodicesima settimana: prima nulla! Ammetto che ero perplessa, ma per fortuna era il terzo figlio e non mi sono fatta patemi (sarebbe stato molto diverso se fossi stata alla prima gravidanza: purtroppo la comunicazione coi medici non era molto approfondita!).

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Altra particolarità: a parte misurare la pancia col centrimetro, chiederti se stai bene, misurarti la pressione e sentire il battito del feto con l’apposito strumento, alla visita non fanno nient’altro. Intendo dire… non mi hanno mai toccata là dove il bambino dovrebbe uscire… pare che considerino pericoloso fare una visita interna durante la gravidanza!

Per il resto, tutto è più o meno uguale: si fanno molte analisi all’inizio e sono più o meno le stesse che avevo fatto in Italia (escluse alcune che qui non vengono considerate, come la toxoplasmosi) e anche in Cina si fanno tre ecografie nel corso della gravidanza.

La dolce attesa viene vissuta con tutte le cautele: le neo mamme devono riposare, stare attente a non fare sforzi, a me hanno perfino proibito di andare in piscina dopo la 28a settimana!

Per quanto riguarda il parto, io già sapevo che avrei dovuto fare un cesareo e mi sentivo tranquilla perché in Cina la percentuale di parti cesarei è molto alta e per i dottori è un’operazione di routine, difatti tutto è andato bene, anche se non è stato piacevole essere in sala circondata da dottori che parlavano poco o nulla l’inglese: spesso, per chiedermi le cose, mi mostravano la traduzione (strampalata!) sul telefonino! Era una situazione molto comica, vista dall’esterno.

Anche nel reparto di ostetricia, dove ho trascorso l’immediato post parto, erano poche le infermiere e i dottori che parlavano inglese. Nonostante ciò tutti si sono impegnati a spiegarmi tutto per filo e per segno, con pazienza e ripetendo mille volte se necessario. Devo dire che sono stati tutti gentilissimi. Unico neo: il cibo.
Cercare di buttar giù le zuppette che mi proponevano era davvero difficile, infatti mi facevo portare qualcosa da casa.

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Una curiosità: le puerpere in Cina dovrebbero trascorrere quello che qua viene chiamato “il mese”, una sorta di quarantena post parto durante la quale non possono uscire di casa, farsi la doccia o lavarsi i capelli, bere cose fredde e molti altri divieti. Io, che andavo in giro con gli infradito, venivo additata come pazza: il freddo mi sarebbe entrato nelle ossa creando danni irreparabili nel mio organismo.

Bilancio dell’esperienza? Ottimo.
Ho davvero un bel ricordo di questa gravidanza tanto inaspettata quanto gioiosa!

Antonella Moretti

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