Se l’asilo è un lager

Ultima modifica 22 Aprile 2015

 

Purtroppo ogni tanto, accade di leggere o acoltare la notizia che viene scoperto un asilo degli orrori e si rimane tutti indignati.

Nel mio personalissimo modo di vedere le cose, forse per la professione che svolgo, forse perchè penso di essere un papà responsabile, ritengo che ci siano dei reati che sono più odiosi di altri.
Mi riferisco ai reati contro la persona.
Senza entrare in “facilonerie”  parlando di femminicidio, pedofilia, pedopornografia etc etc, voglio parlare – e scrivere – solo dell’aspetto umano della faccenda, laddove le mamme si sentono offese che una donna possa aver maltrattato i loro cuccioli.

Vedete, per una mamma in generale il distacco dal proprio bimbo è un male necessario, perchè magari ha bisogno dei suoi spazi, perchè ritiene che così facendo il bambino socializza, perchè deve andare a lavorare.
Ma nel cuore di una mamma c’è sempre un briciolo di dispiacere.
Affidare poi la propria creatura a persone che si ritengono responsabili per il lavoro che fanno è sempre un atto di fiducia, perchè si demanda ad altri -alla fine allo Stato- l’onere e l’onore di accudire i  propri figli.

L’età dell’asilo è poi delicatissima, perchè i bimbi iniziano ad avere le prime socializzazioni, le prime sensazioni autonome, non quelle trasmesse dal papà o dalla mamma.
E’ un momento importante e quindi l’iscrizione all’asilo, dopo le opportune verifiche, diventa un momento sacro, quasi liturgico.
Le aspettative sono molteplici e le garanzie richieste non sono mai abbastanza per calmare le  ansie di chi si sente ingiustamente in colpa di mandare il figlio all’asilo.
Perchè di mamme che vivono male questa giusta scelta di vita, ne conosco. Si sentono delle madri quasi snaturate ma poi, con il passare del tempo, le faccenda si appiana vedendo il proprio bimbo che fa passi da gigante verso la crescita.
Interagiscono diversamente, sono logorroici, hanno bisogno di un amichetto a casa, parlano di programmi del giorno dopo e santificano il metodo Montessori, ancora imbattuto, con la conquista del proprio io.
Più volte ho tuonato verso la clamorosa latitanza di una politica sociale rivolta alla madre lavoratice e al suo diritto di essere serenamente madre senza dover essere divorata da ansie da prestazione lavorative per supplire al suo essere anche madre.
Sul punto lo Stato Italiano è assente.
Ma tutto si complica quando lo Stato non fa, a priori, le opportune verifiche sulle persone che andranno a “gestire” i bambini.
Non dirò mai abbastanza che lo Stato ha il compito di vigilare su tutto, in particolare modo sull’ educazione dei bimbi, diventando complementare alla famiglia e nessuno dei due sostitutivo dell’altro.
Deve essere riposta grande attenzione nel dare la “patente” di maestra di asilo a chicchessia facendo svolgere loro, prima di ogni altra cos,  i vari test clinici per verificare se una persona è border line, mediante esame DSM V che altro non è che un test per verificare se uno è ”potenzialmente matto”.
Un test a cui è difficile sfuggire, ed è per questo che mi sono sempre rifiutato di farlo.

Ma indipendentemente dalle battute, è indubbio che una maestra che maltratta un bimbo, lo deride davanti agli amichetti, merita tutto il mio disprezzo, perchè rovina sì un bambino, ma mortifica una madre che ha riposto fiducia  a chi preposto alla carezza.

E il padre che  demanda si sentira’ un co*****ne.
Come cresceranno un domani questi bimbi mortificati? Come si sentiranno le madri con questa spada di Damocle  di aver investito su una struttura sbagliata?

Si sentiranno male, tradite da una donna, dall’Italia.

Filippo Teglia

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