Bobo e Mister Heimlich: una storia, una mamma e una bambina

Ultima modifica 21 Maggio 2018

Non sono una mamma easy.
Una di quelle che vive la maternità e il grande dono che le è stato dato, con spensieratezza.

No.

Sono fobica.
Terrorizzata.
Catastrofica.

Ho buoni margini di miglioramento, sia chiaro, ma riconosco di essere un caso limite!
Nella corsia dell’ospedale ancora si tramandano i racconti del mio parto.
La mia ginecologa intrattiene le sue pazienti elencando, a mo’ di barzelletta, le vicissitudini che hanno costellato i “nostri” nove mesi di gestazione. I miei e i suoi.

Fanno lo stesso le educatrici del nido e, più recentemente, le maestre di scuola che, quando hanno in programma una gita, sgattaiolano furtivamente dall’uscita secondaria, temendo che possa seguirle in preda a deliri di ansietà per ispezionare il vano dell’autobus o controllare le cinture di sicurezza!

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Non sono una mamma easy.
L’ha scoperto velocemente pure il nostro pediatra.
Sì, il nostro. Un po’ mio e un po’ della mia bambina. Più mio, però.

‹‹Svezzamento? Ma non sarà presto?››
‹‹Signora, fra poco la bambina sarà maggiorenne››

E così il saggio dottore mi aveva spedita a imparare le manovre di disostruzione in un tentativo di amore estremo verso la sua piccola paziente, che voleva passare velocemente dal latte ai rigatoni al pomodoro.

Dopo aver appreso le manovre salvavita e aver immagazzinato le informazioni necessarie a ridurre le possibilità di incorrere in un incidente da soffocamento, ero diventata una specie di mamma stalker.

Le noccioline alla festa del nido? Ma siamo pazzi!
Le caramelle mentre si dondolano dall’altalena? Oh mio Dio!

E così via. Naturalmente anche mio marito e tutta la famiglia erano stati ragguagliati su questi aspetti.
Così come le amiche e i parenti più o meno prossimi.
Mi ero formata per formare anche gli altri, in una sete di diffusione di conoscenza che mi sembrava logica e quanto mai necessaria. Ma questo non mi bastava ancora. Avevo, quindi, iniziato a coinvolgere mia figlia nella prevenzione.
Parlavo con lei. Inventavo filastrocche e rime per ricordarle che a tavola, ad esempio, non si gioca; le spiegavo perché taluni cibi era opportuno tagliarli piuttosto che mangiarli interi.
Lei mi guardava sorniona dal seggiolone.
Pochi mesi e pochi denti!
A vedermi da fuori probabilmente avevo tutto l’aspetto di una pazza!

Quando, però, mia figlia era tornata a casa dopo il primo giorno di scuola e mi aveva detto che l’uva a mensa non era stata somministrata in maniera corretta, mi ero sentita incoraggiata a proseguire per questa strada e avevo capito chiaramente l’efficacia del motto montessoriano “aiutali a fare da soli”.

Nell’educazione la chiave di volta. Nei bambini il seme della rivoluzione culturale.
Avevo abbracciato l’idea che occorra necessariamente dare fiducia ai bambini, credere nel meraviglioso mondo dell’infanzia e nelle sue enormi potenzialità.
Mia figlia non era più intelligente o competente degli altri bambini; molto semplicemente aveva assorbito alcune informazioni nella sua quotidianità.

‹‹Mamma oggi è successo che un bambino ha infilato un bottoncino nel naso. Non sapeva che fosse pericoloso.
Perché non scrivi una storia? Una di quelle che mi racconti tu e la facciamo leggere a tutti i bambini?››

E perché no?
Adoro scrivere storie e a giudicare dalle grasse risate di mia figlia, non mi riesce neppure così male inventarne di nuove! Così grazie al sostegno di maestre e personale scolastico speciale, sono entrata a scuola armata di filastrocche per parlare di prevenzione e spiegare ai bambini il districato percorso delle vie aeree.

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È nato così Bobo e Mister Heimlich.
Un racconto privato, che ora è diventato di tutti.
Colori, rime, risate e un editore folle al punto giusto per credere in questo progetto.

Il libro abbraccia e fa proprio il principio fondamentale per cui il nostro futuro sono i bambini e se vi è speranza di un mondo migliore, questa speranza può passare solo attraverso loro e la capacità di noi adulti di valorizzarli.

‹‹I bambini››, diceva Maria Montessori, ‹‹sono esseri umani ai quali si deve rispetto, superiori a noi a motivo della loro innocenza e delle maggiori possibilità del loro futuro.››

Nadia Levato

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