Bullismo. La guerra dei bottoni ora è sul web. E non va bene

Ultima modifica 14 Ottobre 2019

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Louis Pergaud nel suo “La guerra dei bottoni” ci presenta la lotta tra due bande di ragazzini di periferia che si divertono a incontrarsi e scontrarsi per affermare la propria forza, delimitare i territori o, più semplicemente, occupare il tempo con i pochi mezzi a disposizione.

Pochi mezzi o quasi nulli, a parte la natura, perché stiamo parlando dell’anno 1912.

Letto, straletto e consigliato per gli adolescenti, è un must da più di un secolo, e mai come oggi ritorna attuale.

A chi non è capitato di scazzottare al campetto di calcio dopo una partita?

Spinte, strattoni e qualche brutta parola di troppo fanno parte del percorso di crescita da sempre, non accettato dai genitori forse, sicuramente da punire o redarguire, ma i manuali di pedagogia e psicologia ci insegnano che è così.

Ancora più spesso capita che dopo una litigata del tipo sopra descritto, dopo aver “preso le misure”, i protagonisti si stringano in una amicizia che a volte dura per anni.

Senza scendere nei dettagli che senz’altro spettano agli esperti, diciamo che i rapporti nell’età della crescita sono sempre stati questi, il problema invece andrebbe spostato sul luogo dove avvengono.

Per essere più precisi, finché i ragazzi tornavano a casa con un occhio nero, si prendevano una sana “strigliata”, e il giorno dopo era già buono per giocare.

Ora è diverso. La scazzottata o lite che sia, viene “mandata in rete” ed in pochi minuti viene manipolata dai media che, sfruttando la ben conosciuta morbosità di un certo pubblico, raccolgono consensi, sviluppano tuttologi e finti benpensanti e amplificano il fatto oltremisura.

Una notizia facile, veloce, correlata da video. Nessuno sforzo, una parte di cronaca già fatta e finita.

Questo è grave. Si rischia così di traumatizzare oltre il dovuto i protagonisti, lanciando inoltre una moda molto pericolosa.

Prendiamo spunto da due episodi di questi giorni che hanno impazzato sui social network e poi in televisione, senza citare nomi e paesi.

E’ chiaro che la voglia di apparire nell’età dell’adolescenza, soprattutto se si hanno pochi stimoli ed interessi di contenuto, prevale sul buon senso. Ma parliamo di adolescenti. Parliamo di ragazzini che probabilmente nel tentativo di evadere da una situazione di “vuoto”, si divertono ad aizzare e riprendere liti da strada.

Per evitare che questo “vuoto” diventi una voragine che poi li inghiotte o li marchi a vita come scarti della società, noi adulti abbiamo il dovere di arginare, non amplificare.

Limitiamogli l’uso dei cellulari, iscriviamoli ad uno sport, avviciniamoli in qualsiasi modo alla lettura e alla cultura, riempiamoli di contenuti e non di cose.

Il bullismo è un grido d’aiuto, come lo stalking per gli adulti. Ma con i ragazzi siamo ancora in tempo. Non buttiamoli in pasto ai cacciatori di facili scoop.

Punizioni severe, certo. Anche da riformatorio nei casi più gravi. Ma la gogna mediatica no. E’ una spirale perversa e che si autoalimenta.

Sono prede indifese, anche quelli che sembrano “più cattivi”.

 

Michela Cortesi

 

 

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