Educazione Empatica. Giorno 1, l’inizio del cambiamento

Ultima modifica 13 Aprile 2021

L’educazione è un fatto culturale.
I contenuti educativi, ciò che effettivamente insegniamo ai nostri figli, i nostri valori, ciò in cui crediamo sono fortemente condizionati dal contesto in cui viviamo e dalla nostra storia personale.

Quando si parla di educazione empatica, di non usare punizioni né premi, alcuni potrebbero immaginare un atteggiamento lassista, mancanza di regole e limiti, bambini autogestiti allo sbando e viziati… dei “piccoli tiranni”.

Vediamo allora nel dettaglio, punto per punto perché non è assolutamente così.

La sindrome del bambino viziato (affluence -in inglese) si riferisce al fatto di dare al figlio tutto quello che chiede in maniera acritica, probabilmente nel tentativo di supplire la propria assenza fisica ed emotiva con beni materiali.
Questa è esattamente la logica del “premio esterno” che quindi sposta la motivazione del bambino fuori dal sè, cioè verso il possesso di un oggetto.

In realtà ciò che chiede un bambino non è un oggetto un bene materiale, ma chiedono che il genitore risponda ai loro bisogni affettivi, tenga in considerazione la relazione e alimenti il rapporto. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista American Journal of Sociology, oggi i genitori, a causa delle loro responsabilità lavorative o degli sforzi fatti per garantire stabilità economica, non dedicano abbastanza tempo all’educazione dei figli.

La prima cosa che impariamo accostandoci all’educazione empatica è che Il tempo in qualità non è sufficiente, anche la quantità è decisiva.

Immaginiamo di essere nella corsia dei giochi di un grande supermercato, tante cose attirerebbero l’attenzione di nostro figlio e probabilmente, come succede a noi adulti, vorrebbe prendere il gioco, osservarlo, toccarlo, magari provarlo, ma questo non gli viene permesso e giustamente il bambino si sente frustrato e inizia a protestare piangendo o facendo “una scenata”.

Cosa potremmo fare in questo caso?

Dobbiamo prendere tempo. Abbassarci vicino a nostro figlio e accogliere la sua rabbia “amore sei arrabbiato perché volevi vedere quel gioco?
Ok dai, lo prendo e ci fermiamo un attimo a guardarlo insieme….” cercando in questo tempo di commentare il gioco e le emozioni che ne derivano “sarebbe proprio una bella casetta per i tuoi personaggi, ha un tetto bello rosso con il camino” ecc. ascoltiamo ciò che ci risponde, chiediamo come vorrebbe giocarci e alla fine proponiamo di rimettere il gioco al suo posto, se non pensiamo di comprarlo.

Se nostro figlio protesta ancora, spieghiamo che non è possibile comprarlo in questo momento, aggiungendo la motivazione reale al rifiuto, se dovesse continuare a piangere, accogliamo e offriamo un abbraccio o una coccola.

Molti di voi staranno pensando che con vostro figlio, non funzionerebbe affatto, questo perché molto probabilmente, la vostra visita al supermercato segue ancora dinamiche completamente diverse.

Quello che sto raccontando ora è l’ipotetico “giorno uno”, l’inizio del cambiamento (se parliamo di bambini già grandi) o l’inizio della relazione (se parliamo di bambini piccoli).

In riferimento a bambini più grandi, che sono quindi abituati ad un altro approccio, questa fase di cambiamento e adattamento potrà durare qualche settimana, ma poi pian piano si stabiliranno nuove dinamiche, una nuova relazione basata sull’attenzione e la comunicazione positiva, invece che sulla minaccia.

Molti genitori mi dicono che per loro è impossibile portare i figli nei centri commerciali perché non stanno seduti nel carrello, vogliono toccare qualunque cosa, mettono in disordine o fanno cadere gli oggetti dagli scaffali. Vogliono correre per i corridoi rischiando di perdersi. Ciò che a volte i genitori fanno è comprare un gioco, per calmare il bambino.

Cosa potremmo fare in questo caso?

Innanzitutto smettere di compare oggetti per calmare il bambino, così facendo non facciamo altro che alimentare questo comportamento, lo stesso vale anche se lo premiamo ogni volta che si è “comportato bene”.

Utilizzare il premio esterno (oggetti), minacciare e punire, usare la distrazione per aggirare le difficoltà può portare nel lungo periodo a una serie di conseguenze negative tra cui

bassa autostima, perdita di motivazione, irresponsabilità, stress e ansia di fronte ai rifiuti o delusioni.

Poi, come dicevo prima: dedicare il nostro tempo e la nostra attenzione.

Spieghiamo al nostro bimbo quali sono le “regole di comportamento” da adottare all’interno del negozio; se chiede di vedere qualcosa, mostriamoglielo, insegnandogli come maneggiare i vari oggetti ed i vari materiali, permettiamogli di toccare da solo le cose che non rischiano di rompersi e se dovesse avere comportamenti inadeguati, blocchiamo l’azione e spieghiamo ancora la regola.

Dobbiamo permettere ai nostri figli di essere bambini e di commettere errori, la realtà, infatti, ci dimostra che l’educazione moderna vincola i nostri figli a talmente tante regole da farli sentire impotenti.

Alcuni genitori stanno talmente addosso ai loro figli, affinché non commettano errori, da soffocarli e privarli del loro diritto di sbagliare, sottraendo però così anche la possibilità di apprendere. Mettere a disposizione dei vostri figli giocattoli e attività a scopo esclusivamente educativo, senza pensare al divertimento del bambino, ma allo stimolo delle sue capacità, limita la creatività e l’immaginazione quanto comprare qualunque gioco solo per “farlo stare buono”.

I nostri piccoli cadranno un milione di volte sulla strada dell’autonomia, non ci sono dubbi; ma è meglio che lo facciano ora, quando il loro corpo di gomma è preparato all’impatto, piuttosto che dopo. Il nostro ruolo in questo senso sarà porgere loro la mano per dare una motivazione interna (sostegno, riconoscimento, stima) affinché si possano rialzare.

Ci sono due cose durature che possiamo insegnare ai nostri figli: non temere mai di affermare la propria identità e il coraggio di credere nelle proprie idee.

Barbara Bove Angeretti

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