Ultima modifica 20 Maggio 2013
Molti casi di genitori che uccidono (o tentano di farlo) i propri bambini nel giro di pochi giorni, e si torna a parlare di figlicidio.
Figlicidio: una parola tanto cacofonica quanto innaturale, come ciò che rappresenta.
Se fu Euripide ad archetipizzare l’orrore dell’infanticidio da parte di Medea, ai giorni nostri c’è stata la Vespizzatissima Franzoni, che nessun cronista rinuncia a chiamare in causa quando accadono fatti come quelli dei giorni scorsi.
Prima, a Bergamo, la dentista trentaseienne che ha ucciso la figlia di 18 mesi e poi se stessa, con tutte le morbose polemiche che ne sono conseguite.
Poi il poliziotto di Palermo che ha sparato al figlio di sette anni e poi anche a se stesso.
Infine, sabato scorso, una donna a Busto Arsizio ha gettato i due figli di tre e sei anni dal balcone. I bambini (fortunatamente?) non sono in pericolo di vita, e gli articoli di giornale sottolineano come la donna fosse in cura per problemi psichici.
L’omicidio di un bambino –soprattutto per mano materna- è troppo culturalmente destabilizzante perché possa essere accettato; diventa allora necessario trovare delle attenuanti, e il fatto che a compiere quell’ineffabile gesto sia una persona affetta da disturbi mentali appare confortante.
Molti psichiatri ammoniscono contro questa tendenza assai diffusa; solo una minima parte delle donne figlicide, infatti, sarebbero realmente affette da vere e proprie patologie mentali.
Anche l’appartenenza a classi sociali poco abbienti o a contesti familiari particolari viene vissuta dalla società “per bene” come un conforto, così casi come i tre citati sopra, che non rientrano in ambiti socialmente deprivati, trovano grande risalto sui giornali.
Secondo molti studiosi, la presenza nelle madri figlicide di una vera e propria malattia mentale non supererebbe un terzo dei casi.
Nei restanti due terzi queste donne sarebbero affette piuttosto da disturbi della personalità (borderline, immaturo, antisociale, dipendente ecc…), che non permetterebbero loro di gestire situazioni di vita difficili, in contesticaratterizzati dalla difficoltà ad acquisire un ruolo materno consapevole e responsabile.
Si chiamano in causa la depressione, l’abbandono da parte dei familiari, persino la paura per il futuro (per la crisi!), ma la realtà è che la rete sociale attorno ai genitori è sottile e dalle maglie slabbrate.
Ci sono persone fragili che avrebbero bisogno –magari- di terapie farmacologiche e ricoveri in reparti specializzati, di assistenza psicologica costante, almeno fino allo scioglimento dei nodi dell’anima.
Lo scorso anno Massimo Gramellini ha pubblicato l’ormai celebre Fai bei sogni, tanto per fare un esempio a proposito di madri che hanno bisogno di aiuto.
Io penso a quei bimbi sopravvissuti (fortunatamente? Ripeto), e all’aiuto di cui avranno bisogno per superare il trauma che hanno vissuto, al fatto che si siano aggrappati alle braccia di chi avrebbe dovuto amarli e proteggerli e che invece li ha scagliati giù da un balcone.
Ma lei l’ha fatto “per il loro bene”.