Gestire relazioni. Solo due parole.

Ultima modifica 20 Giugno 2019

Oggi pomeriggio sono qui, nella nostra classe, come tante altre volte, ad aspettare che mia figlia esca dalla lezione di chitarra. Nostra perché non è solo mia, ma di tutti quelli che la abitano ogni giorno.
Un sacco di piccola grande gente, ogni giorno.

La guardo vuota, con una luce bella e strana, che al mattino non ha.
La guardo in silenzio con i cartelloni che ormai chiedono pietà, la cattedra che subisce colori, gessi ruzzolanti, caffè rovesciati un giorno sì e l’altro pure, quaderni strappati e orecchiuti.
Una sensazione strana avere lì 5 minuti in fila per pensare senza interruzioni, senza
Maé quicome… mapossofareanche… hofinito… luimidice… possofareundisegno… vadoinbagnoèurgente…
boooom…
nonmisonofattonulla.

In una classe, togliere le voci e i rumori dei bambini è surreale.
Surrealissimo, quasi da brividi.
Eppure è bello perché ho il tempo di guardarli, anche se non ci sono.

Ripenso ai momenti che, nell’attimo del vissuto, passano inosservati e quasi insensibili, mentre ora diventano come piccole esplosioni emotive.
In un anno scolastico se ne raccolgono a migliaia.
Ma non parlo degli eventi. Per quelli abbiamo le foto che ci aiutano a ricordare.
Non parlo nemmeno delle attività: quelle le scrivi ogni giorno nel registro elettronico.
Parlo di quelle scene che non riesci a raccontarti subito, che non puoi scrivere da nessuna parte, ma che fanno da tessuto a tutto il resto.
Parlo di quelle scene che nascono nel bel mezzo del lavoro e della confusione, che sono tante, ma restano, come la felicità di Totò, dei piccoli attimi di dimenticanza “cosciente e lavorata”: preziosi perché ci siamo accorte che sono importanti tanto quanto un verbo o la tabellina del 6 per fare, di una classe, un gruppo.

Quelle scene che dovrebbero ricordare ad ogni insegnante, me compresa,  che c’è vita su Marte!
Cioè di fronte a noi ci sono persone che approcciano alla vita in comune e che fanno inevitabilmente errori di valutazione, di interpretazione, di reazione.
Te li vivi col cuore e con la mente, ma se non ti fermi un attimo a pensarci, rimane solo il lavoro… forse questi attimi sono difficili da spiegare a chi non vive con noi al mattino.

Il giorno prima viene Laura “Maé Giulia mi dice che il mio disegno è fatto male, me lo dice spesso.
Mi dispiace, però.”
Occhi lucidi.  “Sono sicura che se le fai capire che ci sei rimasta male, non lo farà più. Però faglielo capire. ”
Il giorno dopo Giulia “Maé Laura mi ha detto che sono cattiva” Occhi lucidi.
Ecco, certo poteva andarci piano, ma gliel’ha fatto capire…
“Non sei cattiva, forse non sapeva come dire qualcos’altro. Tu che le hai detto?”
“Solo che la cornicetta la poteva fare meglio, che gliela potevo fare io, ma non sono stata cattiva!” “Fai finta che ogni giorno qualcuno stia lì a ricordarti che sbagli qualcosa… come reagisci? Pensaci andando a posto”
“Giulia vieni un attimo? Sai che dire cattiva non è preciso ed è pure un po’ bruttino, che dici?”
“Eh però tutti i giorni uffaaa!”
“Eh, ti se stancata. Magari, se ci pensi bene, cattiva non è proprio la parola giusta.”
“Petulanteee, noiosaaa” “Eh…magari puoi dirle come stai tu quando lei ti corregge” “Mmmm sono arrabbiat…tissima e tanto dispiaciuta.” “Ecco, questo già basterebbe” “Ma posso cambiare posto?” “No, ora no”
E le guardi. Non si parlano per un bel po’. Lavorano a testa bassa, “bronciate” il giusto.
Ma a ricreazione giocano insieme, così bene e così “agitatamente” che si prendono pure un “Uéééé allora, non si corre in mezzo ai banchi!”  E sobbalzano; e ridono pure, le litiganti.

Questa non è delle più toste, come situazione.
Ma è una delle tante.
Un tempo prezioso.

Gestire relazioni: due paroline messe in mezzo a ciò che un insegnante deve fare.
Non solo alla primaria.

Sono questi, e sono infiniti in un giorno, gli attimi di cui parlo.
Anche in fila per l’uscita troviamo spunto per…
Ci sono episodi più o meno importanti.
Ma se li lasciassimo cadere, spianandoli col rullo compressore del lavoro, come potrebbero imparare a relazionarsi tra loro nel modo corretto?
Io penso che questa aspetto sia vitale.
I bambini, per quanto vedo, da soli spesso non ce la fanno. L’istintività, la spontaneità, tanto graziose e simpatiche a 3 anni, crescendo devono considerare che si incontrano con altre istintività e spontaneità. Quindi devono fare spazio ad altre competenze civiche importanti che mirano dritte al rispetto. Non si tratta di santificarli eh, ma bisogna spingerli con delicatezza ad uscire dal sé per vedere gli altri, per specchiarsi negli altri.

“Oh mà ho finito” Mia figlia sulla porta con la chitarra sulle spalle.
Lo sapeva che ero lì.

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