Ultima modifica 3 Giugno 2025
Non dimenticherò mai quella notte. Era la notte di San Valentino, tra il 14 e il 15 febbraio scorso. Il ricordo è ancora vivido, inciso nella mente come una ferita aperta. Tornavo a casa dopo un volo notturno. Ero stanca, pensavo solo a tornare a casa, farmi una doccia calda e dormire qualche ora. Ma quando sono arrivata vicino alla mia via, qualcosa era diverso. La strada era bloccata, luci blu ovunque, un via vai di persone, l’odore acre nell’aria. Non capivo. Mi sono avvicinata lentamente, con un presentimento che mi stringeva lo stomaco. E poi ho sentito qualcuno dire che c’era un incendio. Una palazzina stava bruciando.
All’inizio ho pensato a qualcuno, chiunque, ma non a me. Poi ho riconosciuto la sagoma dell’edificio tra le fiamme. Era casa mia. La mia casa. Il cuore ha smesso di battere per un istante. Ho lasciato l’auto come potevo e sono corsa. C’erano i pompieri, le sirene, il fumo che usciva dalle finestre. Ma soprattutto c’era quel senso irreale, come se stessi guardando la mia vita andare in pezzi da dietro un vetro, senza poter fare nulla.
Non si è salvato niente. Niente.
Nel giro di poche ore ho perso tutto ciò che avevo costruito. Ogni mobile scelto con cura, ogni vestito, ogni fotografia, i documenti, i libri, i ricordi, i giochi di mia figlia, i piccoli oggetti di ogni giorno che parlavano della nostra vita. Tutto era andato. Tutto, ridotto in cenere.
La casa dei miei sogni, arredata pezzo dopo pezzo con amore, dopo tanti sacrifici… ora era solo una carcassa annerita, silenziosa e fumante.
Eppure, in mezzo a quel disastro, c’è stata una luce. Una salvezza.
Mia figlia, per fortuna, non era a casa quella notte. Era dai nonni, aveva la febbre. Non oso pensare a cosa sarebbe potuto succedere se fosse stata lì. Mio marito, invece, era dentro. Dormiva. È stato svegliato dai vicini, ha avuto solo pochi secondi per capire cosa stava succedendo e scappare. Non ha preso nulla. Né portafoglio, né chiavi. È uscito in pigiama, con il soffitto che iniziava già a crollare sopra di lui.
La nostra gatta, incredibilmente, si è salvata buttandosi dal balcone. È viva. Anche lei.
Quella notte ho capito che la vita può cambiare in un attimo. Che bastano pochi minuti perché tutto ciò che consideravamo certo, stabile, “nostro”, svanisca. Ma ho anche capito che l’essenziale non si compra e non si perde nelle fiamme. Ho ancora mia figlia, mio marito, la nostra gatta. E questo, anche se ora fa male dirlo, è tutto.
Da quel momento, ogni giorno è una piccola scalata. Ci stiamo lentamente rialzando. Ma è dura. La mattina ti svegli e non hai più nulla. Niente da mettere, niente da prendere, niente che ti appartenga davvero. Le cose materiali sembrano poca cosa finché non ti mancano tutte insieme, di colpo. E allora ti accorgi di quanto sia faticoso anche solo vestirsi, cucinare, uscire, ricominciare.
All’inizio non volevo chiedere aiuto. Mi sembrava di essere una debole. Poi qualcuno mi ha detto che non è una vergogna accettare una mano quando si è caduti così in basso. Così mi sono lasciata convincere. È stato difficile, ma vedere quanta gente si è stretta attorno a noi mi ha commossa. Non avrei mai immaginato di ricevere così tanto affetto. Così tanta umanità.
Scrivo queste parole anche per dire grazie. A chi ci ha aiutato, anche solo con un pensiero. A chi c’è stato. A chi ha condiviso il nostro dolore, a chi ha fatto un gesto piccolo o grande. Non lo dimenticherò mai.
Sto imparando che si può perdere tutto, ma non per questo si è persi. Che le cose si ricomprano, con il tempo. Ma la vita no. La vita è un dono fragile, e prezioso. Non darò mai più nulla per scontato. Nemmeno una mattina qualunque, nemmeno un abbraccio, nemmeno una tazza di caffè o meglio cappuccino nella mia cucina.
Un giorno avrò di nuovo una casa. Ma ora so che casa non è un posto. È chi ti stringe la mano mentre tutto intorno brucia.