Ultima modifica 29 Settembre 2017
Dopo anni e anni di servizio nella prevenzione dei tumori al collo dell’utero, verrà dato l’addio al Pap test per essere sostituito da un test del Dna, capace di rivelare la presenza del virus Hpv.
A dare l’ufficialità della notizia sono gli esperti convocati dall’FDA (Food and Drug Administration), ente governativo statunitense, i quali hanno dato giudizi positivi dimostrati da vari studi internazionali, cui il più importante è stato condotto in Italia dal Centro Prevenzione Oncologica dell’ Ospedale Molinette di Torino, dagli studiosi svedesi del Karolinska Institutet di Stoccolma, dagli inglesi della London School of Hygene e dell’Università di Manchester e dagli olandesi della Vrje Universitet di Amsterdam.
Come sarà il nuovo Pap test? Consiste nel prelevare un piccolo campione di cellule, il quale verrà poi esaminato a un microscopio da un operatore per rilevare eventuali anormalità. L’analisi del Dna si esegue sulle medesime cellule, dove viene riscontrata la presenza di virus legato quasi totalmente all’insorgenza di tumori.
L’epidemiologo torinese Guglielmo Ronco (che ha effettuato la ricerca su oltre 175 mila donne in quattro Paesi del mondo), ha voluto rilasciare alcune dichiarazioni: «Il test Hpv permette di ridurre del 60-70 per cento l’incidenza dei tumori invasivi del collo dell’utero rispetto al pap-test».
Nel nostro Paese l’esame Hpv ha appena sostituito, in nove regioni, il pap test in seguito alla pubblicazione – nel 2010 – dello studio del professor Ronco sulla rivista “The Lancet”. Gli statunitensi della FDA si sono espressi con 13 voti a zero, a favore della modifica dello screening, il che lascia intendere che il test Hpv sarà destinato a rimpiazzare gradualmente, ma completamente, l’altro esame, che per ora affianca ancora, in qualche centro, il nuovo metodo d’indagine sulle cellule cancerogene.
Il professor Ronco ha poi voluto concludere: «Il cambiamento non può essere fatto da un giorno all’altro anche perché si dovranno attrezzare i centri specializzati e formare gli operatori».
Il test del Dna dovrebbe essere utilizzato come prima scelta negli screening, mentre, sia in Italia, sia negli Stati Uniti, si utilizzano i due esami insieme o semplicemente il Pap test, da effettuare però ogni tre anni invece che ogni cinque anni come quello più avanzato. Il tumore, che insorge al collo dell’utero, provoca annualmente circa 1000 vittime, con ben 3000 nuovi casi ogni dodici mesi. Il 6,2% delle donne è a rischio di sviluppare questo tipo di cancro fra 0 e i 74 anni di età.
L’epidemiologo Rocco ha inoltre voluto dichiarare: «Lo studio italiano è il più esteso mai condotto. Il nuovo test sarà destinato inizialmente alle donne fra i 30 e i 64 anni di età, dato che sotto i 30 anni l’esame del Dna rileva ancora molte lesioni destinate a regredire spontaneamente. La ricerca ha, inoltre, dimostrato che eseguire il test ogni cinque anni invece che tre, come avviene con il pap test, non diminuisce l’efficacia e porta anzi a una riduzione della spesa sanitaria di circa il 20 per cento».
Quindi, in attesa che cambi il metodo di screening, facciamo sempre i controlli. Vogliamoci bene. Sempre.
Paola Lovera