Sopravvivere alla città eterna

Ultima modifica 21 Ottobre 2016

Silvia Garozzo è una mamma, è di Roma, è psicologa e psicoterapeuta. Tra le varie pubblicazioni a suo nome, c’è il libro: “Psicoecologia” .

A lei abbiamo chiesto in che modo la vita in una grande città come la nostra possa influenzare le nostre vite, la nostra salute fisica, ma soprattutto mentale.

A lei abbiamo chiesto soluzioni per non rimanere intrappolati nei malsani meccanismi che si possono creare in questa giungla d’asfalto.

Una soluzione c’è.

Ecco quello che ci dice.

“Roma è un posto difficile in cui vivere ormai, lo è per chiunque. Per gli anziani, stipati nelle case o nelle cliniche con nessuno, o quasi, rapporto sociale e senza un prato dove dar da mangiare ai piccioni. Persi nella solitudine e la malinconia del passato. Un passato in cui era diverso crescere e vivere, in cui si condivideva molto di più. In cui si viveva tutti insieme e ci si aiutava l’uno con l’altro.

Lo è per i lavoratori immersi in chilometri di traffico tutti i giorni. In condizioni lavorative precarie, in competizione l’uno con l’altro. Per ottenere poi cosa? Finte gratifiche ed effimero successo, se possibile. Mera sopravvivenza per lo più.

Lo è per i migranti, tanti, che la popolano, e che hanno difficoltà ad integrarsi. Perché per integrarsi è necessario scambiare quantomeno delle informazioni e per scambiare qualunque tipo di informazione è necessario a sua volta fermarsi a parlare. E lo è per noi italiani che, in questo modo, anziché avere delle occasioni di crescita e scambio con culture diverse dalla nostra, ci ritroviamo a correre tutti insieme ed a scontrarci gli uni con gli altri. Vedendo l’altro da noi anziché come una risorsa, come un pericolo.

Roma è un posto difficile a maggior ragione per i bambini perché non hanno più spazi, più tempi. Non più prati, non più cortili, non più strade in cui correre e giocare tranquilli. Si cerca di mettere delle “toppe” (come si dice appunto a Roma) costruendo mini parchetti organizzati. Fioccano centri con giochi gonfiabili (per altro abbastanza pericolosi quando troppo affollati), ma tutto ciò non può assolutamente sostituire ciò di cui i bambini (ma anche i grandi) hanno realmente e profondamente bisogno. I bambini hanno bisogno di libertà, di poter creare da solo i loro giochi, di correre e respirare aria pulita. Passando in un famoso quartiere di Roma si può notare un vero e proprio obbrobrio: un parchetto attrezzato chiuso in mezzo a delle ringhiere grigie in mezzo ad una strada trafficata.
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Una gabbia per bambini. Costretti a seguire i tempi di una città. La sveglia di corsa, di corsa a scuola, mille impegni, troppi, poco tempo e scarsissima condivisione libera, così importante per la loro crescita psicologica.

Scriveva un articolo su Uppa (“Troppi bambini agli ‘arresti domiciliari’”, di Francesco Tonucci, Un pediatra per amico, Anno XIII, numero 1/2013) che ormai i bambini non fanno più niente da soli, non giocano più nei cortili, non vanno più a scuola soli (si riferiva a bambini dai 6 ai 10 anni). Questa mancanza di attività libera, di condivisione coi pari, di responsabilizzazione sarebbe dannosa per lo sviluppo e la crescita dei nostri figli.

Del resto anche l’aria che respiriamo è assolutamente invivibile. Un servizio al telegiornale regionale Rai di poco tempo fa sosteneva essere molto maggiori le morti per cancro nella città di Roma rispetto alla periferia.

Insomma la vita che conduciamo soprattutto nelle grandi città è ormai assolutamente non a misura d’uomo, né di bambino, né quindi di famiglia. Per la nostra salute psicofisica è invece essenziale cambiar vita per quanto si può. Invertire la rotta. Cambiare le priorità dei nostri stili di vita. Moderare i nostri ritmi. Recuperare spazi e tempi per le relazioni che sono quanto di più importante per la sopravvivenza della nostra specie. Sopravvivenza messa a dura prova dallo stile di vita imposto ormai da tempo dalla società dei consumi.

Cosa possiamo fare per reagire a tutto ciò’? Come possiamo seguire un processo di downshifting (letteralmente “scalare marcia”) e operare la nostra personalissima “decrescita felice”?

E’ intanto assolutamente utile capire quanto sia essenziale farlo. Poi possiamo trovare tutta una serie di servizi appositi, piccoli trucchi, escamotage. A cominciare dal fatto di prediligere agriturismo, aziende agricole, parchi all’aperto a luoghi chiusi ed omologati. Se, infatti, ci occupiamo di far stare realmente liberi e felici i nostri figli, automaticamente e magicamente scopriremo di poter stare più rilassati anche noi.

Insegniamo ai nostri figli, con l’esempio, non solo a parole, l’importanza della natura, dei legami affettivi, a dispetto degli averi e dei gadget. Diamo ognuno il suo piccolo contributo ad un cambiamento di mentalità più generalizzato e profondo.”

Silvia Garozzo

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