2 giugno 1946: voto alle donne

Ultima modifica 1 Giugno 2018

L’Italia è stata una delle ultime nazioni dell’Europa occidentale ad adottare il suffragio femminile. A ritardarne l’applicazione ha contribuito, essenzialmente  il fascismo, la cui ideologia, nell’escludere la donna dalla vita pubblica, le riconosceva soltanto il ruolo specifico di madre, sposa, sorella del “nuovo italiano“.

Quando poi, alla caduta del regime, arrivò il momento di passare la parola dalle armi alle urne, cioè al Referendum istituzionale e alle elezioni dell’Assemblea costituente, gli Italiani, nonostante il parere contrario dei sostenitori della monarchia che sbandieravano il pericolo di un possibile  “salto nel buio”, si mostrarono pronti al nuovo compito, non dando peso alle eventuali conseguenze.

Molto lungo, peraltro, il tempo necessario per preparare  l’appuntamento elettorale: dovettero trascorrere tredici mesi dalla conclusione della guerra.  Se, da una parte, il ritardo trovò una giustificazione nelle difficoltà tecniche concernenti l’apprestamento delle nuove liste degli elettori, dall’altra fu determinato dalle pressioni provenienti dalle forze politiche moderate, timorose di un possibile vasto consenso per i partiti progressisti.

Si arrivò al giorno stabilito e grande fu l’entusiasmo nelle piazze. E ciò era comprensibile, perché si tornava alle urne dopo vent’anni in cui si era persa l’ abitudine ad esprimere un voto libero.  I plebisciti, svoltisi durante gli anni della dittatura , erano stati, in realtà,  una vera e propria simulazione.

Il 2 giugno del 1946, ad ogni italiano, uomo o donna di almeno 21 anni di età, vennero consegnate due schede: una per la scelta fra Monarchia e Repubblica, l’altra per l’elezione dei 556 deputati dell’Assemblea Costituente sulla base di un sistema proporzionale a liste concorrenti e collegi elettorali plurinominali.

Ampia la partecipazione: votò l’89 per cento degli aventi diritto. Per la Repubblica si pronunciarono  12.717.923 elettori  (54 %), per la Monarchia  10.719.284 (46 %).

Con tale risultato, frutto di un’ operazione decisa con molta razionalità, gli Italiani, da sudditi  della monarchia sabauda, diventavano  cittadini di uno stato democratico e repubblicano, fondato sugli ideali di libertà e di giustizia, sui valori della convivenza e della solidarietà.

I governi, che si avvicendarono, normalizzarono il paese e lo guidarono tra i due blocchi delineatisi tra le potenze vincitrici del conflitto. Fu un compito di grande portata e di enorme difficoltà, perché non era solo l’ opzione tra due linee politiche, ma tra due modelli di vita, quello americano e quello sovietico. Pur di fronte ad una decisione che non avvenne così facilmente come si può intuire per la presenza di un forte partito della sinistra, lo schieramento per l’Occidente finì per prevalere.

Gli svolgimenti successivi apportarono delle novità profonde.  In poco tempo, sulla base della nuova Costituzione, entrata in vigore il 1 gennaio 1948, l’ assetto istituzionale del nostro paese  è stato rinnovato e tracciato  un percorso finalizzato ad un ribaltamento dello status quo, anche quale reazione esplicita al regime, alla negazione dei diritti democratici, alla politica imperialistica  che, per qualche tempo, il fascismo aveva perseguito.

Anche il sistema elettorale, nel corso degli anni, ha subito modifiche: negli ultimi tempi siamo passati dal mattarellum al “porcellum”. Quest’ultimo, con un premio di maggioranza che ricorda due leggi precedenti, entrate ormai nella storia, la prima (1923) di Acerbo e la seconda (1953) di Scelba (comunemente nota come legge truffa),  non  prevede le preferenze  perché la lista è bloccata.

Gli italiani ne aspettano la correzione, ma i partiti, a tutto oggi, a parte qualche distinguo, non sono di questo avviso.

 

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