Ultima modifica 19 Dicembre 2015

Cerco la mamma che ha partorito una bambina a Mazzarino, nel 1966” comincia così l’appello di una donna nata e lasciata dalla madre biologica che ha voluto rimanere anonima alla nascita. La ricerca dei genitori biologici è una tappa che  molti figli adottivi raggiungono, tendenzialmente,  nel periodo dell’adolescenza.

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Spesso i genitori adottivi vivono male questo momento, invece gli esperti del settore ci suggeriscono di non sentirci messi in discussione, o peggio delegittimati, dal “fantasma” del legame biologico, ma di prendere atto che questo legame esiste e che è  parte importante della storia dei nostri figli.

Allontanandosi dalle paure, usando invece disponibilità, affidabilità, attenzione ed empatia, sarà possibile aiutare i nostri ragazzi ad elaborare quella “nostalgia struggente” che molto o poco, presto o tardi, potrà coglierli in certi momenti della vita. Tale ricerca avviene spesso tramite canali che esulano dai luoghi di competenza delle adozioni quali Tribunali minorili; anzi, sempre più frequentemente vengono usati canali come i social network che, per la loro espansione a livello mondiale, permettono ricerche anche sugli stati esteri, mettendo però a rischio di truffa, delusioni ed angosce coloro che cercano le tracce della propria famiglia biologica.

In molti paesi nel mondo esiste l’esperienza dell’adozione aperta dove resta per l’adottato la possibilità non solo di accedere alle informazioni sulla propria identità biologica ma anche la possibilità di avere contatti con i genitori naturali.

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In Italia, la legge vigente impedisce la ricerca del nome materno al figlio di donna che ha partorito in anonimato, per 100 anni dalla nascita. La Corte Costituzionale ha però dichiarato illegittima, per violazione del diritto all’identità personale (che si costruisce conoscendo le proprie origini) questa previsione, perché non consente di richiamare la donna affinché decida di rimuovere l’anonimato, su richiesta del figlio. Inoltre ha disposto che siano raccolti e comunicati ai figli i dati sanitari della madre, senza il suo nome, che possono servire per curare la propria salute (semplicemente per rispondere a un banale questionario anamnestico, oppure più radicalmente, per la cura di malattie genetiche). Per questa ultima comunicazione (già prevista dal t.u. Privacy ma mai applicata) non serve il consenso della madre, perché resta anonima.

Nel 2009, ad esempio,  sono stati più di duecentocinquanta i figli adottivi che hanno presentato istanza di accesso all’identità dei genitori biologici ma, di queste, solo un centinaio sono state  accolte; quelle  respinte sono state proprio quelle presentate da figli adottivi non riconosciuti alla nascita.

Da uno studio fatto dalla Dott.ssa Alessandra Santona, psicologa e psicoterapeuta, ricercatrice presso l’Università Bicocca,   per valutare gli esiti e l’impatto psicosociale del mantenimento del legame biologico nell’adozione, si capisce quanto sia importante la fase della ricerca delle proprie radici biologiche.  
Dopo aver preso in considerazione più di 40 diverse ricerche” – spiega Santona – “abbiamo potuto constatare che il risultato di queste esperienze non è mai uniforme, anche se avviene all’interno di percorsi di accompagnamento psicologico e sociale”.

I ragazzi che indagano sulla propria identità biologica vengono definiti dagli esperti “cercatori”. Si tratta prevalentemente di ragazze, che intraprendono la ricerca in due diversi momenti della vita: nell’adolescenza o nel momento in cui stanno per diventare madri.

famigliabiologica3 L’esito positivo di questa esperienza dipende da due fattori“, avverte l’esperta. “Da un lato, è necessario che l’assenza del legame biologico sia stato intimamente elaborato e superato, e che la relazione con i genitori adottivi sia solida e gratificante. Chi intraprende una ricerca delle origini biologiche da persona non risolta, o perché è alla ricerca di una relazione sostitutiva rispetto a quella con la famiglia adottiva, rischia di sperimentare fortissime delusioni”.

Da qui si evince  la necessità di essere a fianco dei  propri ragazzi nel momento in cui essi decidano di fare la ricerca del proprio nucleo biologico proprio per accompagnarli in un momento di forte impatto emotivo, sia per loro che per noi, sostenendoli in questa  ricerca con forza e serenità. Il legame con loro ne uscirà, secondo me, ancora più forte e sincero.

 Elisabetta Dal Piaz

Riminese trapiantata per amore in Umbria da ormai 18 anni. Ex dietista e mamma attempata, di due fantastici figli del cuore che arrivano dal Brasile. Ma il tempo passa e i figli crescono (e non sia mai avere mamma sempre fra i piedi) ho ripreso a studiare e sono diventata Mediatore familiare, civile e commerciale. E a breve...mediatore penale.

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