Ultima modifica 18 Marzo 2013

L’affido è, per legge, un provvedimento temporaneo, la cui durata non dovrebbe superare i due anni, nel caso dell’affido consensuale, o comunque il periodo temporale indicato nel provvedimento del tribunale, nel caso di affido giudiziale. Nella pratica, spesso accade che non si realizzino le condizioni per cui il minore possa rientrare nella famiglia di origine, per cui un affido consensuale si trasforma in giudiziale, o che un provvedimento di affido giudiziale venga reiterato, rendendo di fatto l’affido un fatto non più temporaneo, ma duraturo nel tempo ovviamente fino ai diciotto anni del minore, perché da questa età in poi il soggetto,una volta acquisita  la maggiore età e quindi la capacità di poter decidere cosa è meglio per la sua persona, può decidere da solo della propria vita. In questi casi si parla di affido sine die.  Ora, si potrebbe discutere sulla correttezza di questa situazione. Chi ha fatto un’esperienza di affido, breve o lunga che sia ci conferma chespesso la domanda che questi bambini si fanno è: “perché io non posso essere come gli altri?” Questo scatena in loro forti sensi di colpa ed emozioni contrastanti, combattuti tra il senso di lealtà verso la propria famiglia e il desiderio di fare un’esperienza in un contesto familiare più idoneo ai loro bisogni.

Il mio punto di vista riguardo a questo tipo di affido è che gli affidi “sine die” neghino il diritto di questi bambini ad essere figli nel modo più profondo e giusto. Spesso in questi affidi, troppo lunghi, viene meno il vero interesse dei bambini, costretti ad aspettare che i propri genitori, tendenzialmente inadeguati, recuperino le proprie capacità. È risaputo con certezza che quasi mai  questo recupero diventa possibile e allora cosa fare? Spesso vengono lasciati nel limbo solo per preservare un legame di sangue. L’affido non può che essere temporaneo e dopo aver appurato che la famiglia d’origine è irrecuperabile bisogna percorrere altre strade, quale l’adozione. Inoltre, il legame che si crea tra bambino e famiglia affidataria è altro rispetto al legame che c’è tra un figlio e i propri genitori e che quindi le due istituzioni non dovrebbero essere tra loro confuse.

Dall’altra parte, però, quello che mi lascia perplessa è che qualora la situazione dell’ affidamento decade ed il minore viene reso adottabile, il minore in questione viene allontanato dalla famiglia affidataria e collocato presso la famiglia adottiva. Mi lascia perplessa perchè, per il minore, questo evento è in ogni caso un altro lutto da elaborare con sensi di colpa che si innescano dopo che vengono allontanati da un ambiente che ritenevano sicuro e protettivo. Spesso vivono il nuovo allontanamento come una cosa causata da loro stessi sentendosi nuovamente sbagliati e talmente cattivi da essere abbandonati ancora. Beh, per una legge improntata sulla centralità del minore e dei suoi interessi, questo mi pare alquanto bizzarro. Aspetto quindi con ansia che qualcuno prenda in mano questa legge e si accorga della totale inadeguatezza di questa legge e  ben venga l’ affido sine die in queste situazioni che almeno permette al minore di restare in quell’ambiente che lo ha protetto fino a quel momento.

Forse in definitiva ci vorrebbe solo più coraggio da parte dei giudici, qualora riscontrino che la situazione è immodificabile, a dare l’adottabilità in tempi brevi a questi minori regalando loro la possibilità di crescere con genitori del cuore piuttosto che correre dietro a dei legami di sangue senza valore.

Elisabetta Dal Piaz

La redazione del magazine. Nato nel maggio 2013, da marzo 2015, testata registrata al tribunale di Milano. Mamme di idee rigorosamente diverse commentano le notizie dell'Italia e del mondo, non solo mammesche.

3 COMMENTS

  1. Vorrei fare una domanda.l’affido sine die può essere concesso a una coppia il cui percorso adottivo non è andato a buon fine?

    • Teoricamente si, affido ed adozione sono due percorsi differenti. Ma alla coppia in questione non è andata a buon fine il percorso adottivo o la richiesta del decreto adottivo? Sono due cose ben diverse perchè se non fosse andata a buon fine l’adozione ma la coppia ha il decreto può riprendere l’iter non appena si sente pronta. Ma se manca il decreto di idoneità all’adozione dubito che un giudice, che si occupa di minori, dia in affidamento un bambino ad una coppia risultata non idonea. Ma questo sono mie valutazioni personali. Inoltre generalmente non è dato sapere dall’inizio se il percorso di affidamento sarà sine-die oppure no. elisabetta dal piaz

  2. Desidero commentare quanto scritto da Elisabetta Dal Piaz nella risposta a Catia. In realtà non si può parlare di “richiesta del decreto adottivo”. Se la coppia ha presentato domanda per l’adozione internazionale il Tribunale per i Minorenni deve emettere un decreto di idoneità o di non idoneità (quest’ultimo può essere impugnato entro 30 giorni e a quel punto sarà la Corte di Appello Sezione Minorenni a doversi pronunciare). Riguardo all’adozione nazionale, invece, la coppia presenta una “dichiarazione di disponibilità”, a seguito della quale non verrà emesso alcun decreto. Verranno svolte le indagini previste e verranno effettuati i colloqui, dapprima presso i Servizi Sociali Territoriali e successivamente presso il Tribunale per i Minorenni, e qualora si renda disponibile per l’adozione un minore con le caratteristiche adatte per l’abbinamento a quella coppia, questo minore verrà proposto alla coppia stessa. La domanda di adozione decade dopo tre anni, e spesso accade che le coppie non vengano convocate per alcun abbinamento. Il Tribunale per i Minorenni non ha l’obbligo di comunicare alla coppia se è idonea all’adozione, proprio perché per quella nazionale non deve emettere un decreto. Può anche essere che la consideri idonea, ma che non “salti fuori” un minore adatto ad essere collocato presso quella coppia. Premesso ciò, l’affido non è precluso, proprio perché si tratta di un supporto ad un minore che per un certo periodo non può vivere nella propria famiglia. Catia e il marito possono quindi rivolgersi ai Servizi Sociali della loro città sottoponendo la candidatura per l’affido. Io suggerirei comunque, prima di fare questo, di effettuare un percorso di informazione-formazione presso una delle numerose associazioni di famiglie affidatarie presenti un po’ in tutta Italia. Si tratta di associazioni di volontariato, alle quali è sufficiente versare una quota di iscrizione (nell’ordine di 50 Euro annui al massimo), che essendo composte da famiglie che vivono o hanno vissuto l’esperienza di persona – per inciso, io sono fra queste – sono in grado di aiutare gli aspiranti affidatari anzitutto a misurarsi con il desiderio di un’esperienza che è molto più complessa di quanto si immagini, anche perché in molti casi comprende il mantenimento dei rapporti con la famiglia d’origine del bambino, famiglia che è solitamente molto lontana dall’idea che quasi tutti hanno in proposito (i bambini che vanno in affido hanno genitori maltrattanti o abusanti, alcolisti, tossicodipendenti, con patologie psichiatriche o personalità borderline, problemi di carcerazione e similari). Non ci si può candidare per un affido sine die perché il provvedimento, sia nel caso di affido consensuale che giudiziale, dura due anni (ovviamente rinnovabili qualora l’interesse del minore lo imponga). Noi famiglie affidatarie usiamo dire “l’affido sai quando comincia ma non sai mai quando può finire”. Ci sono tuttavia situazioni che si prospettano da subito come irreversibili, nel senso che appare evidente che molto difficilmente il bambino potrà rientrare in famiglia, ma in ogni caso verrà emesso un provvedimento che ha la scadenza di 24 mesi, come previsto dalla legge N. 149 del 28 Marzo 2001 all’articolo 4 comma 4. Un cordiale saluto.

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