Ultima modifica 20 Giugno 2019

comunicare come esigenza

 

Vedo sui social network frasi del tipo: una volta scrivevamo le lettere, ora scriviamo i messaggi su WhatsApp.
Una volta le amicizie erano vis-à-vis; ora si coltivano su Internet. Una volta si andava a prendere un caffè, oggi si sta davanti al pc a chattare col caffè in mano. Qualcuno scrive tutto ciò, digitando tra le righe un malinconico “eravamo meglio”. Può darsi, ma può darsi anche di no. La complessità della realtà odierna noi, ormai quarantenni e oltre, non l’abbiamo conosciuta da ragazzi, da bambini, da neonati. 
Oggi  il linguaggio deve essere più preciso ancora, perché i fraintendimenti, quando non ci si guarda negli occhi a tutti i livelli, sono il rischio all’ordine del giorno.
Io ricordo di aver scritto 5 lettere, senza un errore, per comunicare a
distanza, nel corso della mia carriera scolastica, mentre  ora scrivo  in continuazione, con una tastiera, ma scrivo… e non è che per questo impieghi meno attenzione  nello scrivere correttamente.  Anzi, forse mi serve più ora di quando andavo a scuola, perché lavoro comunicando con la scrittura, ci condivido i miei pensieri e in questo sono molto più visibile rispetto a prima.  E la lettura?
Deve essere  posseduta ancora di più , perché spesso negli esami, nei concorsi, nei test, tutto si gioca sul filo della parola.
E nelle corse (oneste) vince chi non sbaglia a scrivere o a comprendere
neanche un solo termine.
La mia collega l’altro giorno dice: “Oggi è tutto testo!”  Voleva dire
ovviamente che oggi più che mai la lingua ha una forza mai avuta prima. Ed ha ragione. Le famose prove Invalsi (che se ne vadano o che restino a tediarci nelle prossime primavere) si giocano tutte sul testo, sulla comprensione dei comandi, sulle parole adeguate. E se esistono comandi –tranello, la conoscenza della lingua e delle sue sfumature è l’unica cosa che può aiutare.
Purtroppo però siamo di fronte a bambini nuovi che non sentono più l’esigenza di scrivere bene o di comprendere a tutti i costi, se non a scuola. Ed è per questo che è soltanto la scuola che deve motivarli in tutti i modi possibili e far capire loro che la correttezza, la versatilità, l’importanza di conoscere sinonimi serve nella vita, al di là del fatto che possano scrivere sms con uno stile linguistico gergale o no.
E come si fa? Giocare sulla motivazione facendo in modo che la comprensione e la scrittura per loro sia un’esigenza e non una richiesta.
Aggirare l’ostacolo facendo in modo che siano loro a chiedere e cercare la conoscenza del linguaggio.
Dobbiamo stuzzicarli.
Ad esempio iniziare a far leggere la loro stessa scrittura regolarmente (non parlo ovviamente di bambini con difficoltà specifiche) può essere un modo per consapevolizzarli sulla correttezza ortografica.
Poi, fare in modo che dal loro uso della lingua dipendano competenze diverse come saper impostare una ricerca, saper dedurre informazioni essenziali per studiare, saper comprendere un problema.
Con le mie colleghe da quest’anno stiamo perseguendo in ogni disciplina un obiettivo trasversale: riuscire a d isolare informazioni utili. Un obiettivo alto, ma che aiuta molto nella e per la conoscenza della lingua. Un obiettivo che, se rincorso ogni giorno, permette ai bambini di rendersi autonomi nel comprendere cosa serve per possedere veramente una conoscenza. Questo, per me che insegno matematica, è fondamentale. Si, perché comprendere un problema “E’ tutto testo”. Gli enunciati, i quesiti hanno un linguaggio specifico, è vero, ma se non si conosce il linguaggio di base e le sue regole, sopra non si costruisce la sfumatura.
Veramente è dalla classe prima che affrontiamo ogni giorno di scuola con il motto “Le parole significano”, e credo che pian piano i nostri bambini stiano entrando in questo ordine di idee…anche per sfinimento…poveri.
Il nostro motto entra in gioco ancor di più ora, perché dal  secondo
quadrimestre della quarta i bambini dovranno scrivere i “Dati” del problema.
Perché ora? Perché fino ad ora si sono resi conto di quanto siano importanti le parole lette, ma è arrivato il momento di riuscire a “descrivere” correttamente e sinteticamente i dati numerici del problema, provando la competenza linguistica in uscita.
Ho creduto tanto in ciò che diceva Bruno D’Amore a proposito dei dati di un problema: descrivere un valore numerico  sinteticamente e con linguaggio specifico è una competenza altissima e non matematica. Averlo in testa non è come descriverlo sulla carta.
Riflettiamoci bene: risolvere un problema è una competenza innanzitutto linguistica. E se si imposta il lavoro con questa idea, i bambini sono portati a dare importanza a tutto ciò che leggono  %Se non si affronta dall’inizio il lavoro sulla lingua, spessissimo i bambini  vedono solo i numeri nel problema e sono portati a metterli in relazione in qualche modo…magari pasticciando con le parole chiave (altra devianza criticata da D’Amore) ben confuse e facendo il famoso “tiro a freccette” tra le operazioni. Per scrivere i dati, poi, si limitano a copiare frasi del testo appena dopo il numerino, tipo “corda 45m = il negoziante vende”. Questo non serve a nulla.
Descrivere un dato presuppone l’avere già in testa un canovaccio di risoluzione. E quanto è difficile per loro! Se lo potessi paragonare ad un lavoro “difficile” dell’italiano, direi che è il massimo riassunto della matematica.
Iniziare questo tipo di lavoro inserendo, zitta zitta, 3 dati utili ed uno inutile poi…è una vera e propria “illuminante cattiveria”.
Siamo stati 10 minuti a capire a cosa servisse quel 3…era il primo dato
numerico del problema e tutti lo avrebbero messo per primo nella lista. Poi un bambino fa…” Maé, ma questo non c’entra niente, è una fregatura…un errore…”
Poi mi guarda mentre rido sotto i baffi: “No, è una fregatura. C’hai fregato!”
Quel bambino, per dire quello che ha detto, deve aver messo in atto tutta la sua competenza linguistica in entrata (lettura) e in uscita (descrizione del dato) e io ne sono stata felice.
A volte si trovano testi matematici di supporto che hanno il titolino “problemi con dati nascosti”.
Oppure “problemi con domande nascoste” (quelle domande che servono a ricercare
dati deducibili dai dati presenti nel testo).
Non si può…significa togliere ai bambini non solo il gusto di scoprire che ce la fanno da soli a spiegarsi un’anomalia, ma anche la possibilità di riflettere sulla descrizione di una storia che ha dei misteri da svelare.
Acquisite le competenze tecniche di base relative ad ogni periodo scolastico, dovremmo lavorare sempre su un livello di scoperta e di costruzione delle conoscenze e questo può avvenire soltanto lavorando sulla lingua, sulla sua forza, fornendo meno sostegni possibili. Dobbiamo fare in modo che non si perdano in un bicchier d’acqua. Anche per questo ho deciso di fare la ricerca dei dati a scuola più che a casa, perché voglio vederli in azione, voglio dare gli stimoli giusti che servono all’inizio di questa attività. Sono arrivata alla conclusione che è vero: risolvere un problema è per l’80% una competenza linguistica e logica. Di matematico ha la ricerca del risultato…molto diverso dalla soluzione.
Quando dicevo, l’anno scorso, che dovevano cercare la soluzione senza pensare al risultato, mi guardavano male, storto, brutto…Poi, lavorandoci ogni giorno, finalmente quasi tutti hanno rilassato gli sguardi.
Ora, ogni tanto, non me lo dicono con gli occhi…ma proprio con una certa competenza linguistica: “Maé, ma tu, mi sa che sei un po’ matta. “

Ylenia Agostini

La redazione del magazine. Nato nel maggio 2013, da marzo 2015, testata registrata al tribunale di Milano. Mamme di idee rigorosamente diverse commentano le notizie dell'Italia e del mondo, non solo mammesche.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here