Ultima modifica 22 Aprile 2013


Qualche tempo fa facevo zapping selvaggio fra i canali fino a che non ho visto il viso di una donna che mi ha colpito. Non perché fosse noto ma per l’espressione di profondo dolore che esprimevano i suoi occhi. Era la moglie di un uomo che si è ucciso. Un uomo sopraffatto dal senso di impotenza per le richieste della sua banca, peri debiti e in generale per l’incertezza del futuro.

Di queste vite spezzate ce ne sono tante ormai, se ne sentono quasi tutti i giorni. Ed è la cosa più triste che ci possa essere nella nostra società. Che sembra tanto ricca o benestante ma che è capace di risucchiare dentro un buco nero tantissima gente. Gente che fino allo scorso decennio se la cavava e che ora non riesce nemmeno a garantire il cibo tutti i giorni alla sua famiglia. E penso che ci siano poche altre cose al mondo che possano farci stare male come il ritenerci responsabili delle sofferenze, privazioni o difficoltà della nostra famiglia, dei nostri figli.

La cosa che mi ha tanto colpito nella moglie di quell’uomo oltre alla tristezza nei suoi occhi è stata la voce ferma e la rabbia. La rabbia di chi rimane. Perché la moglie spiegava come fosse arrabbiata con suo marito per averla lasciata sola con tre figli. E non è che uccidendosi abbia almeno risolto una qualche questione  economica. L’ha lasciata sola con tre figli e con ancora  i debiti da pagare. La sua scelta l’ha fatta sentire tradita e abbandonata. Non amata come credeva. La misura dell’amore può anche essere questa, in fondo. Quanto devi amare la tua famiglia, il tuo compagno o compagna per non mollare, per continuare a lottare? O invece quanto amore c’è nel stare così profondamente male dal non poter far passare un giorno ancora con tanto senso di colpa e l’unico modo per smettere di soffrire è scegliere di morire?

Ma il punto è questo, credo. Se scegli di morire, per quanto sia estrema come scelta, rimane una tua scelta. Che risolve in qualche modo il tuo problema, il tuo stare male ma non quello di chi lasci dietro di te. Se lasci dei figli e una moglie in mezzo ai guai non sono solo guai, sono drammi. E allora non c’è più modo di farsi forza l’uno con l’altro, di sostenersi e di cercare una soluzione. Per se stessi e per i figli, in primis.

C’è l’errata idea che i figli possano cavarsela e andare avanti. Come se l’essere giovani sia una guarigione a tutto. Ma ovviamente non è così. Un figlio non smette mai di aver bisogno dei suoi genitori. E penso che se un genitore sceglie di morire, sentirsi derubati del loro amore, del loro aiuto sia lecitamente comprensibile. Perché forse è ingiusto ma i nostri figli ci legano a loro. Noi li mettiamo al mondo e il loro solo esistere ci lega a loro con un nodo così forte e unico che niente, nemmeno la morte, lo può spezzare. Una morte naturale in vecchiaia e serena resta comunque un dolore nel cuore che tutti i figli provano. Ma una morte per scelta penso sia davvero una ferita che mai potrà essere sopportabile. E per quanto dolore possiamo provare, il bene dei nostri figli arriva prima, deve arrivare prima.

Non mi permetto di giudicare cosa possa far superare il legame alla nostra famiglia e al normale istinto di sopravvivenza. Troppo profondo. Ma posso capire quella voce ferma e la sua rabbia verso un marito che non è rimasto accanto a lei. Che ha lasciato orfani di padre i suoi tre figli. I figli che insieme hanno messo al mondo e che ora soffrono per la sua perdita.

Uno dei figli è andato a cercarlo, in uno dei posti dove suo padre si rifugiava in momenti di difficoltà. Lo ha trovato impiccato ad un albero. Io credo che questo non sia giusto. Non importa nulla dei soldi che non ci sono o delle lettere delle banche. Quel figlio, quella famiglia, quella moglie non meritavano di restare soli in quel modo. Quella è una ferita che non guarirà mai. E non credo che un padre debba infliggerla. Posso capire il dolore di quel padre, davvero. Ma credo che il male più grande lo abbia fatto proprio lui a loro.

L’intervista a quella donna finiva con le sue parole che in sostanza chiedevano a chi era in difficoltà di non uccidersi, di non lasciare le loro famiglie in una disperazione e solitudine tale che sembra davvero impossibile andare avanti. Un appello al coraggio di non mollare, di rimanersi accanto, nonostante tutto.

Nathalie Scopelliti

La redazione del magazine. Nato nel maggio 2013, da marzo 2015, testata registrata al tribunale di Milano. Mamme di idee rigorosamente diverse commentano le notizie dell'Italia e del mondo, non solo mammesche.

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