La ragazza che aveva fame. Suicidi adolescenziali

Ultima modifica 14 Ottobre 2019

 

Niente uscite, niente cellulare, niente facebook. Solo scuola e oratorio. E, in ultimo, il divieto di fare un anno di studi, meritato per gli ottimi voti ottenuti, all’estero.

Dopo la notizia della ragazzina di Forlì suicidatasi dal tetto di quella scuola dove aveva dato il massimo, ma soprattutto a seguito del ritrovamento di alcuni messaggi ben chiari in cui accusava i genitori di essere la “mano” di quel gesto, in una notte tra letto, balcone, cielo nero e stelle aggrappate per non cadere, il vento mi ha portato questa storia.

ragazza triste

” C’era un volta una ragazzina triste perché aveva sempre fame. La ragazzina passava le sue giornate tra i libri e il volontariato in oratorio. Giornate in cui cercava di essere sempre all’altezza delle aspettative dei genitori. Giornate di lavoro pesante che le levava tante energie ma non le lasciava nulla dentro. La ragazzina si sentiva sempre molto stanca e ad ogni passo che faceva, sembrava dimagrire sempre un po’.
In effetti, a casa, quando era ora di pranzo e cena, la famiglia si riuniva, ma spesso i piatti erano vuoti. Rimestava la forchetta sul fondo, con quel suono metallico, ma non c’era nulla. Purtroppo questo era quello che la sua famiglia riusciva a darle. Non era colpa di nessuno. Erano tempi duri anche per i genitori che si sforzavano di dare il massimo, ma a volte, spesso, non riuscivano a nutrirla.

Ma il rito restava.
Tutti attorno a quel tavolo ben apparecchiato, tutti a fingere di raccogliere del cibo dai piatti ben lavati, portarlo alla bocca, masticarlo e digerirlo. Spesso lei provava a ribellarsi, ad imporsi, a chiedere di poter cambiare in qualche modo la situazione, ma la situazione non si modificava. C’era, in quella casa, una sorta di anoressia sentimentale condivisa. Quando lei chiese di poter evadere da tutto ciò, di poter partire per un anno in cerca di un futuro diverso, la risposta fu un muro. Il solito muro di gomma che le rimbalzava addosso le sue fragilità. E la ragazzina, già provata, non ha retto. Il suo corpo si è lasciato morire, anche se la sua mente era già morta da un po’ “.

ragazza sola

Quando succedono fatti di questo tipo, ci sentiamo annientati. Poi tentiamo di dare delle colpe o delle giustificazioni. Le spiegazioni potrebbero essere tante o nessuna. Certo è, che i ragazzi vanno “nutriti” di affetto, parole, scontri, concessioni, divieti ma soprattutto bisogna fornire loro degli strumenti validi per affrontare il percorso di crescita.

Tanto si è detto contro i cellulari e i social network. Ma è giusto demonizzarli ed addirittura vietarli quando potrebbero essere una soluzione per aiutare i più timidi ad inserirsi in un gruppo? Se in adolescenza ci avessero vietato di uscire a giocare a pallone o vietato qualsiasi altra attività di aggregazione, come avremmo reagito?

Io credo che ogni ragazzo sia a sé, ma il messaggio che mi piacerebbe trasmettere è quello di ascoltarli davvero, guardarli oltre le apparenze, sentire i loro dolori con la pancia e non con le orecchie. Sono figli nostri, per favore, non continuiamo a parlare di generazione viziata. Sono carne, ossa, sangue e soprattutto sono teste con desideri che non possono e non devono essere uguali ai nostri.

Rispettiamoli nelle diversità che a volte ci sbattono in faccia e ci fanno male.

Non è sopportabile vedere corpi lanciati nel vuoto, morti per sempre, così come non è sopportabile vedere genitori improvvisamente “orfani”, condannati … a vita!

 Michela Cortesi

 

 

 

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