Ultima modifica 27 Gennaio 2016

Ho aspettato un po’ di giorni dall’elemento scatenante questa riflessione. La morte di qualcuno non è mai un bel punto di partenza e il rispetto per il dolore di questi due genitori, ma io credo che il dolore lo senta ogni genitore adottivo e penso sia fondamentale. Voglio parlarvi della ricerca delle origini, quello che ha portato alla morte assurda di un ragazzino di 13 anni.

Un genitore adottivo è obbligato a decidere sia su aspetti peculiari legati all’adozione quali integrazione sociale e culturale dei propri figli sia ad accogliere e contenere le esperienze passate di perdita e separazione.

La ricerca delle proprie origini è un bisogno comune a tutti i bambini adottati, che a mio avviso, dovrebbe trasformarsi, quando possibile perché veramente costoso, in un viaggio verso il paese d’origine.Una ricerca che parte da quel viaggio, personale e interiore, che ogni persona adottata dovrebbe compiere  alla ricerca della propria identità per  comprende gli aspetti del proprio passato. È importante che i genitori adottivi siano presenti in prima persona in questo delicatissimo passaggio della vita dei loro figli dando loro tutto il sostegno e l’aiuto necessario per far si che i ragazzi non siano costretti a farlo da soli.  Il viaggio è comunque solo la fase clou del percorso di ricerca perché questo percorso inizia molto prima, all’interno del nucleo familiare, con domande che ogni bambino si pone e pone ai genitori: “Ma io sono stato nella tua pancia? E allora… in quale pancia sono stato? Chi sono? Da dove vengo? Perché quella mamma che mi ha fatto nascere non mi ha tenuto? Ma mi ha abbandonato? Perché?” Ecco, è da qui che inizia questo lento cammino, e può succedere in qualsiasi momento (i miei figli ci hanno messo più di due anni prima di farmi la fatidica domanda, cioè se erano stati abbandonati), e ogni volta tu devi essere lì pronta a spiegare, contenere, accogliere. Sicuramente l’adolescenza è il periodo di picco poiché è il momento in cui ogni ragazzo/a si comincia a chiedere “chi sono io?”, ecco allora che i nostri si chiedono anche “ma da dove vengo io?“chi mi ha creato?” che porta all’esigenza di sapere chi sono i genitori biologici o ritrovare quei fratelli rimasti nel paese di origine. Le mutazioni che avvengono durante l’adolescenza creano un fortissimo disorientamento e allora ecco che si fantastica e si cerca di immaginare quella parte di sé stessi che non si conosce.

Il viaggio del ritorno aiuta a ricollocare luoghi, eventi ed emozioni. Non una passeggiata ovviamente, non sempre, anzi frequentemente, quello che viene fuori è poco piacevole da ricordare ma fondamentale per collocare e dare spazio al passato. Passato, presente e futuro sono strettamente legati tra loro.

Nella persona adottata talvolta, c’è una netta divisione tra passato e presente, viene a mancare la continuità che è propria di tutte le altre persone.Con il viaggio si cerca di riallacciare quel filo tenue che permane fra il loro passato e il loro presente, per far loro capire che il passato non è tutto brutto e da dimenticare, che fa parte di loro e sempre sarà una parte importante di loro, che senza quel passato loro sarebbero altro….meglio…peggio…chi lo sa. Solo sarebbero diversi.

Elisabetta Dal Piaz

La redazione del magazine. Nato nel maggio 2013, da marzo 2015, testata registrata al tribunale di Milano. Mamme di idee rigorosamente diverse commentano le notizie dell'Italia e del mondo, non solo mammesche.

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