Ultima modifica 14 Gennaio 2020

Questo libro parla di Carla una donna che desidera con tutta se stessa un figlio che non arriva. E allora lei intraprende, insieme al marito, il percorso della fecondazione assistita e si sottopone a ben 4 Icsi.
Una storia intensa che ci fa immergere prima con profondità e ironia, nel mondo della maternità desiderata. E più che parlarne io, vorrei farvelo conoscere attraverso una piccola intervista all’autrice, Eleonora Mazzoni che è stata molto gentile e disponibile.

Le difettose – presuppone che per essere “normali” le donne debbano procreare?

Le difettoseQuanto la mentalità maschilista dei nostri tempi influenza questa decisione di desiderare un figlio e quanto invece c’è di realmente biologico?

Non direi che per essere normali si debba procreare.

Le donne che decidono di non fare i figli (e sono molte, in America rappresentano ormai il 20% della popolazione femminile fertile) si sentono normali (anche se anche loro, soprattutto se sposate o in coppia, devono lottare con dei pregiudizi, sono considerate troppo edoniste o troppo individualiste, immature, incomplete, strane, carrieriste, ambiziose e via dicendo).

Credo invece che desiderare un figlio e non riuscire a farlo ti faccia sentire sbagliata, mancante, incapace di assolvere il ruolo per il quale siamo biologicamente programmate. Una donna infertile si sente defraudata di un diritto elementare. In più c’è un mancato riconoscimento sociale della donna infertile.

Non a caso la sterilità viene percepita da sempre, in ogni cultura, tradizione, epoca, religione, come una disgrazia. Peggio.
Come una punizione divina.
Anche se non penso che l’istinto materno sia universale, una mancata gravidanza desiderata fa esplodere qualcosa di innato, di primitivo e primordiale.

Ci si sente l’anello mancante di una catena millenaria.

E questo è un sentimento potente, capace di creare rabbia, dolore e disperazione. Però è vero, come dici tu entra in gioco un fattore “indotto”, legato al nostro tempo.
Non è possibile non farcela. Il successo di una vita è giudicato in base al riuscire o no nei nostri sogni o desideri. “Tra i pacchetti-felicità tutto compreso che la società vende, quello casa-macchina-lavoro-figli e uno dei più basici, adatti a tutti, anche ai mediocri.

E’ imperdonabile non completare l’ultimo segmentino del pacchetto più a buon mercato.
Mi sento la più somara della classe”
, dice infatti Carla, la protagonista del mio romanzo.

E’ stato un racconto catartico-liberatorio o è stato doloroso da mettere nero su bianco?
Decisamente più liberatorio. Direi terapeutico. E il finale ne è la prova. Il 31 marzo 2011 ho consegnato il romanzo all’Einaudi, nel mezzo della mia quarta (e ultima) Icsi. A metà aprile ho scoperto di essere incinta di due bimbi.

Leggendo questo libro, l’ho trovato pieno di ironia, quanto questa risorsa può aiutare a superare la situazione di un figlio che non arriva?
Anche dentro al dramma più cupo si può trovare la possibilità di un sorriso. La risata è spiazzante. All’improvviso ti fa vedere la situazione da un altro punto di vista. Stempera i risentimenti, crea empatia nei propri e altrui confronti. Seneca diceva: Non porre la tua soddisfazione in potere altrui. Tendi alla vera gioia e sii felice di ciò che ti appartiene. Io ti auguro il possesso di te, perché il tuo spirito finalmente stia saldo, sicuro e contento”.

Carla cerca di difendere il marito e di tenerlo lontano dal dolore e dal senso di sconfitta che la pervade dopo l’ennesimo tentativo andato non a buon fine. Pensi che sia un dolore vissuto in maniera esclusiva dalle donne o che si possa riuscire realmente a condividerlo e sentirlo insieme nella coppia?
Gli uomini sensibili riescono a condividerlo e stare vicino . Ma è un sentimento che brucia di più nelle donne. La maternità rimane la grande, enorme differenza tra maschile e femminile.

Nella società del “tutto e subito”, non riuscire a realizzare un grande desiderio come quello della maternità provoca vergogna  e senso di sconfitta personale. E’ per questo che il desiderio di un figlio che non arriva diventa un’ossessione?
In una società che ha sacralizzato i desideri, non riuscire a realizzarli può portare a una ostinazione che si traduce in un atteggiamento patologico. Carla dirà: Il mio mondo ha subito un collasso. Il figlio che non arriva e’ diventato l’unico pensiero della giornata, la sola attività pulsante che come un tarlo svuota dall’interno il resto, interessi, passioni, impegni, lasciando l’involucro a salvaguardare la vita sociale e la presentabilità.”

Leggendo il libro sono rimasta impressionata dalle pratiche invasive e anche dolorose a cui la protagonista si sottopone con tenacia attraverso la fecondazione artificiale, pur di avere un figlio biologicamente suo. In questo percorso che tira fuori tutte le risorse e le forze di Carla, ho sentito anche molta voglia di dare amore in nome dell’unione con il suo compagno più che l’egoismo dell’affermazione personale. E’ più un voler dare o un voler avere?
Mi sembra che nelle centinaia di donne che ho incontrato in questi anni (e che continuo a incontrare tramite il libro, quasi ogni giorno infatti ricevo mail o messaggi) il desiderio di un figlio nasca nella maggioranza dei casi da un incontro. E’ più un desiderio d’amore che di un figlio in astratto.

Penso che il senso di sconfitta che deriva dal non riuscire a procreare nasca dal fatto che siamo abituate come donne a conquistare tutto con l’impegno ed il merito. Tendiamo a voler tenere tutto sotto controllo e quando qualcosa ci scappa  è doloroso, soprattutto SE non dipende da noi. Carla nel romanzo sembra sentirsi punita per un aborto avuto in gioventù e si rimprovera di non aver desiderato fare un figlio prima. Si può riuscire, alla fine a non colpevolizzarsi,  a liberarsi da questi reticoli culturali costruiti dalla società e ad ammettere  che abbiamo fatto tutto il possibile ma che non dipende da noi. Si può arrivare alla fine del percorso a non sentirsi più “diverse” o “difettose”?
Credo di sì. Carla alla fine del romanzo non riesce a partorire un figlio ma partorisce se stessa. Fa pace con quell’imponderabile che regola le vicende umane, che possiamo chiamare sorte, destino, karma, Dio. O fortuna, come lo definivano i latini. E alla fine, quando per l’ennesima volta le arrivano le mestruazioni (ovvero “le malefiche” o “le maledette”), dirà a Marco: Pensavo che il nostro amore fosse in grado di costruire case, lavoro, amicizie, armadi, un mondo migliore e certamente anche bambini. Invece niente bambini. Ma forse non dobbiamo fare tutto. Quando chiuderemo gli occhi avremo un rimanente immenso ancora da vivere. Un bagaglio per nuove esistenze. Chissà”.

Grazie a questo libro prende voce tutto un mondo sotterraneo di donne che condividono la stessa esperienza, una vera e propria rete di “fivettare” che si confrontano e si confidano in chat usando termini come: la Tb, le Beta, Icsi, le rosse, in bocca alla cicogna, e lo scambio è davvero sincero e solidale. Vivere questa situazione ai giorni d’oggi dà qualcosa in più a livello di non isolamento sociale e condivisione del dolore?
al momento che spesso a viso scoperto si ha vergogna e paura del giudizio, si cerca condivisione e supporto in rete, dove, grazie al nickname, si può essere anonime e quindi maggiormente libere di raccontare e chiedere. Per me e molte altre donne i forum sono stati di grande aiuto.

Ho apprezzato molto i dialoghi immaginari fra Carla e Seneca. L’universale che racchiude il particolare e allevia il dolore con le sue perle di saggezza. Come è nata questa idea? 
Seneca: “Sono più  le cose che spaventano, che quelle che ci fanno effettivamente male. Ti consiglio, quindi, di non renderti infelice prima del tempo, perché i mali che hai creduto imminenti forse non verranno mai, in ogni caso non sono venuti. Per alcune cose noi ci angosciamo più di quello che dovremmo, altre ci crucciano più del necessario, altre senza nessuna necessità.”
Mi piaceva l’idea di mettere a confronto due culture lontane come da una parte la nostra, così “desiderante”, proiettata nel futuro e con uno spiccato senso di onnipotenza, e dall’altra quella latina, che considera il presente l’unico porto sicuro, con un senso molto preciso del limite, della propria finitezza e che ha come ideale di vita il non far dipendere la propria realizzazione da qualcosa di esterno da sé ma l’essere autosufficienti. Mi sembrava un attrito interessante.

Carla alla fine fa una scelta coraggiosa, che denota un percorso personale di crescita e consapevolezza. Come vivi il tuo essere mamma, dopo essere entrata a contatto con queste consapevolezze?
Credo che il lungo percorso che anch’io ho fatto insieme a Carla mi abbia reso una persona più saggia, più matura. E forse una madre migliore.

Titolo: Le difettose
Autore: Eleonora Mazzoni
Editore: Einaudi
Data pubblicazione: 2012
Pagine: 172
Prezzo: 16 €

La redazione del magazine. Nato nel maggio 2013, da marzo 2015, testata registrata al tribunale di Milano. Mamme di idee rigorosamente diverse commentano le notizie dell'Italia e del mondo, non solo mammesche.

4 COMMENTS

  1. Interessante il libro e anche l’intervista all’autrice. E’ un modo che conosco anche se non per esperienza diretta ma per amiche che più volte si sono sottoposte a Icsi. Spesso mi sono chiesta come mi sarei sentita io se fosse successa a me. Lo leggerò,

  2. Molto interessante questo post, grazie anche per l’intervista. Avevo letto qualche altra recensioni in merito a questo libri, forse proprio ad un vecchio “Venerdì del libro” ma non ricordo bene…

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