Lettera ai miei nipoti

Ultima modifica 20 Febbraio 2018

Cari Giulio e Francesca,

iniziare così questa lettera è come, per me, accompagnarvi, prendervi con una mano soltanto tutt’e due e in una volta attraversare la strada. 
Mio zio è morto ieri e da oggi sono un po’ meno nipote.
Sapevo così poco di lui. Dei suoi segreti e soprattutto delle sue verità.
Di tutte quelle piccole cose formate da gesti, espressioni che lo raccontavano ogni giorno e che come piccoli mattoncini hanno dato forma alla sua presenza.

Ecco, negli ultimi sette anni, per esempio, la mia vita è stata composta per grande parte da voi e sebbene non ricopriate che un settimo della mia esistenza, quell’uno è comunque diventato la parte più impellente e preponderante del mio tutto. Per non dire “Il tutto” che non sarebbe giusto per il resto di cui sono fatta e che mi comprende.

lettera

Mi chiedete spesso se è davvero così brutto diventare grandi; se davvero quell’essere adulti che rivedete in noi è una condizione così tanto da evitare al punto che non volete mangiare più per non crescere.
Io vi rispondo di no, invece, spesso il brutto arriva quando se ne va il ricordo di come giocavamo e soprattutto di come era, sapere e volere giocare.

Non ve l’ho mai detto, ma questa è anche la mia paura più grande. Se vi scrivo oggi è per svelarvi uno dei modi che conosco per superarla e per ricominciare a crescere e ad avere fame di ciò che i giorni hanno di buono, di dolce, ma anche di amaro da offrire.

Qualche volta a fine giornata quando voi ve ne andate dalla casa dei nonni e resto io in mezzo ai giocattoli sparpagliati per terra, mi abbasso, mi giro, mi rialzo e sto alla ricerca della posizione che avevate qualche minuto prima voi per giocare. In poche parole ripasso le vostre espressioni, racconto le vostre storie e accarezzo quei giochi che tanto tempo fa erano stati i miei per riprovare e risentire in me la bellezza di poter e saper giocare di nuovo.

Ma quanto è difficile stare ad ascoltare, prendendosene cura, bambole zitte e cullarle per farle calmare?

O improvvisare fazioni nemiche di soldatini di plastica verdi immaginando che abbiano tutti una faccia diversa da sorprendere o far spaventare per vincere una battaglia?

Questa lettera non la potrete leggere ancora, ma la leggerete forse quando anche voi penserete che in fondo la morte è solo fatta da segreti mai raccontati. Così come un po’ anche la distanza che abbiamo oltrepassato non cambiando il nostro rapporto perché il “Lo rifacciamo quando torno questo gioco, va bene?” ce lo siamo comunque andati a prendere anche a chilometri di lontananza. Lo abbiamo preteso per noi e per il nostro essere una zia e due nipoti che si sono raccontati segreti per non potersi lasciare mai troppo da perdersi sul serio e per vincere tutte quelle paure che fanno passare la voglia di andare a vedere cosa c’è dietro il domani.

E sappiate che quando alla domanda “Zia, ma perché non hai figli?” sono rimasta tante volte in silenzio è solo perché volevo trovare il modo migliore di dirvi che forse finora Dio mi ha prima scelto come zia solo per darmi il tempo di prepararmi come mamma.

Con tutto il mio amore. 
Zia Anto

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