Ultima modifica 18 Giugno 2018

Sono davanti alla porta chiusa, seduta su una delle sedie in fila.
Lo sguardo basso, i pensieri in volo, aspetto il mio turno insieme ad altre mamme.
La porta si apre e qualcuno pronuncia il mio nome.
È una donna dal viso gentile. Gli occhiali leggeri posati sul naso, i riccioli biondi disegnati e fissati dalla schiuma.
Mi accoglie con un sorriso. Nella stanza in penombra mi chiede di sdraiarmi sul lettino e scoprire la pancia.
La sonda si muove agevole sul gel e ci restituisce un’immagine sgranata in bianco e nero.

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Insieme guardiamo il monitor e capiamo.

Con calma e senza scomporsi, la donna dal viso genitle mi chiede a quando risale l’ultima ecografia.
Un mese.
Ho bisogno di sentirlo dire con chiarezza, non mi basta averlo visto, così domando: “Il battito non c’è più, vero?

Purtroppo no, il battito non c’è più.

È la fine del mio essere mamma della bambina che abita il mio grembo. Torno ad essere appena una donna.

La mia trasformazione è il risultato del fallimento: non ce l’ho fatta.
Non sono riuscita a dare la vita.

È la fine dell’essere una bambina, la mia bambina, per la creatura immobile sullo schermo in bianco e nero.
Lei si trasforma in un aborto.

La sua trasformazione è il risultato del fallimento: non ce l’ho fatta.
Non sono riuscita a proteggerla abbastanza.

So che viene dalla morte il dolore che sento. Un dolore acuto, devastante, opprimente e soffocante.
Ma forse mi sbaglio, anzi, mi sbaglio di sicuro, perché nessuno pronuncia le parole della morte.
Nessuno mi dice che è morta. Mi dicono solo che me ne devo liberare.
Senza troppa fretta, perchè nel week end in ospedale ci si attiva solo per le urgenze e la morte non ha più nessuna urgenza di guarire.

Aspetto tre giorni tenendomi dentro un cadavere. Mi basta abbassare lo sguardo su quella pancia che non entra più nei pantaloni da settimane, per sentirmi più una tomba che una madre.
Finché lei esce ed io mi svuoto. Cado in un’assenza che non immaginavo esistesse.
Un vuoto immenso, privo di confini, parole, pensieri e gesti.
Nessuno mi dice che quella è la morte. Nessuno mi dice che potrei riempire quel vuoto coi gesti propri della morte.
Mi aggiro disperata fra le stanza della mia casa e mi chiedo dove posso metterla. Dove posso mettere questa figlia che pare non sia mai esistita e che non ci sarà mai più?
Se i riti esistono a qualcosa servono…
Potere fare qualcosa, l’unica cosa che ancora si può fare, per me, per noi, è vitale: seppelliamo nostra figlia.

Ci sono figli per cui si sceglie il colore del corredino, altri per cui si sceglie il colore dell’epitaffio.
E’ triste?
Sì, lo è.
Essere genitori non è sempre facile.
Essere genitori è una scelta.

Noi abbiamo scelto di essere i genitori di quella bambina ancora prima di concepirla, la morte non ha cambiato le nostre intenzioni. Così abbiamo fatto quel che fa un genitore per il proprio figlio.
Ce ne siamo occupati nell’unico modo in cui ancora potevamo farlo.

Da allora è passato molto tempo e di quel dolore non è rimasta la pena, piuttosto è avvenuta una trasformazione.
Noi ci siamo reinventati. Abbiamo trovato il nostro modo di essere i genitori di una figlia (e poi due) che non ci sono più e stiamo proseguendo la nostra vita con una consapevolezza assai più profonda, di quanto valga fare della propria vita qualcosa di bello.

Domani è il 15 ottobre, la Giornata Mondiale della Consapevolezza del Lutto Perinatale: di lutto perinatale è importante parlarne non solo oggi, poiché ogni giorno ci sono famiglie che restano senza i loro bambini, in quel vuoto che è la loro assenza.
Sono diversi i sentimenti che irrompono di fronte alla morte di un figlio durante l’attesa o subito dopo il parto: il dolore, la tristezza, lo stordimento, il senso di colpa, la negazione, la rabbia, la solitudine… tutti sentimenti che hanno bisogno di essere nominati, per essere inquadrati, collocati e digeriti.

Per le famiglie è importante trovare operatori sanitari sensibili e preparati, capaci di accompagnarle lungo i primi passi della loro nuova realtà.

E’ importante sapere ascoltare le famiglie e senza lasciarle sole col loro dolore.
E’ importante sapere che non esiste un modo solo di affrontare il lutto: ognuno troverà più facilmente la sua strada, quanto più sarà libero di esplorare le possibilità. Essenziale è dunque offrire alle famiglie ogni informazione sulle opzioni possibili, senza giudizio alcuno, sapendo accogliere i dubbi, le domande, il loro bisogno di tempo per riflettere e rispettando le loro scelte.
Affrontare questo lutto talvolta può rivelarsi più difficile di quanto si immaginava, in quel caso è importante chiedere aiuto, per non rischiare di lasciare degenerare una difficoltà in qualcosa di più complicato.

Io sono Erika, “Tris mamma per chi mi vede e penta mamma per chi mi conosce”, mi è capitato di perdere due figlie durante l’attesa e scoprire quanto sia difficile districarsi dal dolore di questo lutto. Da allora ho pubblicato alcuni testi (Nato vivo, Professione MAMMA, Questione di biglie) e aperto un blog: Professionemamma.net.
Sono grata a Lenuovemamme.it, per questo prezioso spazio, inaugurato oggi, e che proseguirà di mese in mese, raccontando di maternità interrotta. Non un percorso di solo dolore, piuttosto un viaggio straordinario e intenso, che può portare lontano, in un luogo in cui avere fiducia che, qualunque cosa accada, ci si può ancora sentire felici.

Credits: autrice della foto Leila Mariani

Mamma e moglie, vivo sulla cima di un monte, dove respiro pace e silenzio, alternati al trambusto e il vociare dei miei bambini. Profondamente convinta che ogni esperienza sia fonte di crescita e scoperta di se, scrivo e leggo per incontrare le parti più sconosciute del mondo e di me.

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