Università di Pisa: parità di genere questa sconosciuta

Ultima modifica 19 Ottobre 2018

Qualche giorno fa il rettore dell’Università Normale di Pisa ha denunciato come nel suo ateneo ci sia una sorta di discriminazione rosa. E che in oltre 200 anni non ci sia stata alcuna docente donna meritevole di un posto.

Insomma ci risiamo con questa parità di genere e con queste benedette quote rosa.

parità di genere

Il rettore Vincenzo Barone ha raccontato alla stampa, e in una intervista che ho ascoltato a Radio Capital, che “Ogni volta che si tratta di valutare o proporre il nome di una donna per un posto da docente, si scatena il finimondo. Si parla di tutto, meno che di preparazione, merito e competenze, che dovrebbero essere i soli criteri per valutare un accademico”.

Io ascoltavo l’intervista interessata.

E, pensate un po’, ho riflettuto che forse, in fin dei conti, un po’ di ragione in quello che succede alla Normale (e in tanti altri posti nel mondo intero) ci sia. Mi starete prendendo per pazza. O forse penserete che sia un uomo misogino maschilista e bigotto a scrivere sotto pseudonimo.

In effetti quando abbiamo affrontato l’argomento parità di genere in redazione mi sono attirata le discussioni di altre mie amiche colleghe.

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Cosa voglio dire?

Che si, secondo me è vero. Le donne dovrebbero stare a casa a fare la calza.

Vabbè. Non proprio. Questa è, diciamo, la sintesi colorata di un discorso ampio e articolato.
Ma ripenso alla mia esperienza di lavoratrice full time e anche a come si sia conclusa.
Ad un certo punto della mia vita professionale e personale sono entrati i figli. Prima uno. Poi dopo 5 anni l’altro.
E il mio approccio alla professione è ovviamente cambiato. Non era più la priorità. E non che non mi piacesse o fossi sfruttata. Anzi.
La verità è che se sei donna, e hai figli, e un marito che lavora al pari o forse più di te, hai materialmente più impegni. Più pensieri.

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Non è neanche questione di testa in effetti. Proprio questione di tempo.

Come fai tu mamma a conciliare la scuola, il calcetto, il pediatra, le recite, le riunioni, e mettici anche la cena e la spesa?

Con una colf direte voi. Eh già. Come se tutte le donne lavoratrici d’Italia avessero una governante che fa tutto questo in loro vece. Magari la Marcegaglia sì. Ma io non sono la Marcegaglia. Ed è per questo che ho pensato che più che fare fatture e bolle per spedizioni di merce, la cosa che mi avrebbe dato più soddisfazione era una torta per la festa di fine anno di quinta elementare.
La Normale di Pisa non avrebbe fatto per me. E il Rettore mi avrebbe avuto tra le fila di donne che non avrebbero insegnato lì.
Qualche mia amica mi ha fatto notare che il problema è come al solito che le donne siamo le prime nemiche di noi stesse.
E che, per restare in tema di parità di genere, se coinvolgessimo i mariti/figli nella gestione del ménage familiare avremmo certamente più tempo e mente libera per concentrarci sul lavoro.

Insomma, dovremmo tutte aspirare a questa benedetta parità di genere.

Certamente. La storia è più antica persino della Normale di Pisa.
Se non fosse così scontato che ad occuparci di figli e casa fossero le donne, questo problema di quote rosa non si porrebbe.
I compiti si dividerebbero equamente e naturalmente tra moglie e marito. E tutti e due potrebbero ambire a carriere lavorative di certi livelli.
Io magari avrei continuato ad avere come priorità i figli, ma se mio marito avesse pensato alla spesa e a pulire casa magari sarei ancora alla scrivania a fare fatture per conto della multinazionale per la quale lavoravo.

Ma così non è. Inutile nasconderlo. Certamente oramai lo schema “mamma casalinga – pater familia lavoratore” si va scardinando sempre di più.

Ma ancora LE STATISTICHE PARLANO CHIARO. In Italia gli uomini che si occupano dell’esclusiva gestione della casa sono solo l’8%.

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Fin quando questa percentuale resterà così bassa non abbiamo speranze di andare a insegnare all’Università.

Abbiamo però un’arma affilata. Soprattutto noi mamme di maschi.

Insegnare ai nostri figli che apparecchiare non è compito da femmina. E far loro capire che se amano una donna che vuole fare la docente a Pisa il loro ruolo è far si che questo possa accadere.

Magari prima dei prossimi 208 anni.

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