Alla presentazione de “La scuola che vorrei”

Ultima modifica 30 Ottobre 2017

Una volta qualcuno ha detto : ” Il modo migliore per predire il futuro è inventarlo“.
E forse è stata proprio questa frase, ad aver in qualche modo stimolato, una maestra di scuola primaria, a scrivere il libro “La scuola che vorrei“.
Ho assistito qualche giorno fa alla presentazione da parte dell’autrice, Adalgisa Muscari, insegnante presso l’Istituto Comprensivo Volsinio, plesso S.M.Goretti, a Roma e del prof. Aurelio Simone (Università Campus Bio Medico) che ne ha scritto la prefazione.

Quando la scuola è passione e coraggio

Non è uno di quei testi solo per addetti ai lavori e lo si comprende già dal titolo, così come dalla scelta della copertina, tante tesserino di un mosaico, unite fino a formare il puzzle della formazione, quella dei nostri figli, a cui tutti, genitori, insegnanti, società sono chiamati a contribuire.
Il futuro, infatti, è costruito a partire dall”education’, perchè, come diceva Mandela, “è l’arma più potente che si può usare per cambiare il mondo”.
L’autrice, con questo libro, ha voluto tracciare non il suo modello di scuola ideale ma quello di Scuola, all’interno di un contesto sociale, economico e culturale.

la scuola che vorrei

La scuola che vorrei

Partendo da una raccolta normativa e di decreti, la Muscari si interroga in particolar modo rispetto alla Legge n. 107 del 13 luglio 2015, “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione” e fornisce dati dell’Ufficio Scolastico del MIUR sulla dispersione scolastica.
Ma sono soprattutto 3 i concetti in cui la maestra crede fermamente e che nel libro “LA scuola che vorrei” emergono chiari:

  • confronto: in un Paese come l’Italia, con i docenti più anziani del mondo, la scuola si deve ri-organizzare per garantire il successo formativo degli alunni. Il docente deve essere un modello intellettuale, una persona formata, curiosa, attenta ai tempi che cambiano e capace di individualizzare, offrendo ai ragazzi ciò di cui hanno bisogno, ma ciò non avviene se non si dialoga e collabora con la comunità, il territorio e la famiglia.
  • metodologia: nell’insegnamento non c’è nulla di improvvisato e non si sale in cattedra per trasferire il sapere. Occorre instaurare un rapporto empatico con il gruppo classe, trovare, quella che la maestra Ada chiama, “la chiave d’accesso”, che consente di coinvolgere i bambini in una lezione partecipativa, interattiva, altrimenti non v’è apprendimento.
  • personalizzazione dei percorsi formativi, riferiti non solo alle conoscenze: bisogna garantire a ciascun bambino di venire fuori per quello che è, in base alle sue vocazioni.

Scriveva Daniel Pennac: “Ogni studente suona il suo strumento, non c’è niente da fare. La cosa difficile è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l’armonia. Una buona classe non è un reggimento che marcia al passo, è un’orchestra che prova la stessa sinfonia.”
(Diario di scuola- 2008)

Maria Teresa Esposito

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