Ultima modifica 18 Dicembre 2015
Quello che le zie non dicono…
In primis, segnalo problemi fonetici inerenti il termine italiano di zia:
trattasi di suono sibilante e dunque poco carino, si potrebbe optare semplicemente per il nome di battesimo, ma molto meglio sentirsi chiamare come la polacca ciocia oppure, la mia preferita, la romena matusa (matiuscia) .
In seconda fondamentale istanza, confermo che il mestiere di zia, oltre ad essere una delle esperienze felici dell’esistenza, si connota per alcune confortevoli circostanze :
–massima flessibilità: puoi essere essere mamma o no, single o in coppia, eterosessuale o non; puoi capitare nella vita dei nipoti una volta al giorno o una volta al mese o due volte all’anno, ma te la cavi sempre egregiamente perché : uno li adori a prescindere e due li scarrozzi verso mete ambite, dove il navigatore di mamma e papà di solito non arriva.
– Ruolo a… responsabilità limitata. Viene infatti ampiamente tollerato dai genitori, ma anche dalla società e dalla legge che la zia possegga un certo spirito di avventura e, nel caso sia senza figli, anche una certa temerarietà vicina all’incoscienza riguardo le proposte ludico/turistiche.
– Pochi oneri…molti onori: i pargoli in fondo non hanno genetiche grandiose aspettative rispetto alla zia e quindi codesta adulta guadagna punti con una certa facilità. I nipoti si rivelano dunque decisivi per una sana e duratura autostima, cosa non da poco.
Infine una proposta da discutere: rendiamo autonomo il ruolo di zia dal vincolo familiare .
Ritengo l’attitudine in questione una vocazione non dipendente né dall’albero genealogico né dall’anagrafe .
Promuovo piuttosto un uso estensivo del reciproco beneficio zia/nipote, fra amici, inquilini, abitanti del quartiere…e della città, ovunque dove ci sono genitori e pargoli, per mille motivi, in astinenza da tale figura.
Maria Cardino