Ultima modifica 14 Ottobre 2019

Il 4 dicembre si vota per il referendum costituzionale. È sulla bocca dei nostri politici da mesi, in questi ultimi giorni poi è diventato il tema dominante, non si parla d’altro: siamo chiamati ad esprimerci con un SI o con un NO alla proposta di modifica della Costituzione.

Mi sono andata a leggere la riforma.

La cosa che mi è saltata all’occhio è la sua ampiezza: cancellati 2 articoli, altri 13 vengono sostituiti di sana pianta, e ben 61 commi sono modificati all’interno di altri 50 articoli. Un bel guazzabuglio!

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Come è nata la riforma.

Prima ancora di capire “come” verrà riformata la Costituzione, ho cercato di capire “perché” sia nata la proposta: cosa ha innescato la necessità di un così vasto cambiamento della nostra Carta?

Facendo un viaggio a ritroso nel tempo, prima dell’Aprile 2014 nessuno ne aveva mai parlato, neppure nella campagna elettorale dell’anno prima, ma tre eventi in successione mi hanno colpita: Gennaio 2014 la Corte Costituzionale dichiara incostituzionale la legge elettorale, Febbraio 2014 Renzi diventa presidente del Consiglio e ad Aprile 2014 la riforma vede la luce.

La mia domanda non ha trovato una risposta, ma un’ipotesi: Renzi, appena diventato presidente del consiglio, mosso dalla volontà di fare subito qualcosa, si è scontrato con l’ordinamento vigente e con i dettami della Costituzione che impongono tempi e modalità precise. E allora la soluzione del neo eletto presidente è stata di mettere mano a questo “scomodo” freno a mano.

La mia teoria è rafforzata dal fatto che la proposta di modifica non è stata un’iniziativa del Parlamento, come avrebbe dovuto essere, ma del Governo!

Passano due anni e la proposta di modifica è approvata con 361 voti favorevoli su 630 Parlamentari.
Troppo pochi per diventare da subito legge dello Stato: è necessario chiamare il popolo ad esprimere un parere.
La legge di revisione costituzionale infatti non ha ottenuto la maggioranza qualificata dei due terzi quando è stata approvata, quindi sono state raccolte le firme per la richiesta di una consultazione popolare da 166 deputati tra Movimento 5 stelle, Forza Italia, Lega Nord e Sinistra Italiana.

E così arriviamo al referendum.

Trattandosi di un referendum confermativo non esiste il quorum. Praticamente se a votare, ipotizziamo, saranno in tre, in due decideranno il nostro futuro. E qui scatta la modalità “mamma in autodifesa”: unghie che scattano fuori alla X-Man e occhio vigile guardingo. Ogni voto conta! E il mio voto deve essere il migliore possibile!

Vado a leggermi cosa dicono i comitati promotori del SI e quelli del NO. Lì la riforma è spiegata per punti principali.

Gli elementi essenziali della riforma sono 4:

  • Superamento del bicameralismo perfetto
  • Riconfigurazione del Senato e taglio delle spese
  • Revisione della suddivisione delle competenze tra Stato e Regioni
  • Eliminazione delle province dalla Costituzione e soppressione del CNEL

Il superamento del bicameralismo perfetto è, secondo me, lo stravolgimento del nostro ordinamento giuridico in quanto modifica l’attuale sano e democratico processo di formazione della legge. Il testo di una proposta, ad oggi passa da una camera all’altra fino a che non viene raggiunta una unione di intenti. La tutela delle minoranze è così garantita e gli emendamenti proposti, accolti o anche respinti dalle forze politiche rappresentano l’essenza del principio di democrazia. Il potere legislativo è del Parlamento che lo esercita attraverso i membri eletti dal popolo. I padri costituenti questo decisero.
Gli emendamenti proposti rallentano la volontà legislativa? Può essere che non ci siano tempi stretti, ma qual è l’obiettivo di uno Stato che funziona? La velocità? Per i provvedimenti con carattere di necessità e di urgenza in talune materie, esisteva già la possibilità di delegare il potere legislativo al governo ed il paradosso è che ad oggi l’abuso che si è fatto dell’istituto della decretazione è proprio strumentale per raccogliere consensi su questa riforma costituzionale. Assurdo!

Con questa riforma il Governo ha il potenziale di ridurre a zero gli spazi di iniziativa parlamentare e trasformare l’ordinamento in premierato assoluto. Con la riforma infatti, la decretazione, che fino ad oggi doveva essere solo d’urgenza e su delega autorizzata per alcune specifiche casistiche, si trasforma con il Governo che potrà pretendere un disegno di legge in tempi strettissimi in tutti quei casi che rientreranno nell’ ”attuazione del programma di Governo”.

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Se passa la riforma, la partecipazione paritaria delle due Camere sarà limitata a un numero definito di leggi: costituzionali, in materia di elezione del Senato, referendum popolare e ordinamento degli enti territoriali.
Badate bene, in tutte le materie diverse da quelle appena elencate, il Senato potrà solo proporre modifiche sulle quali la Camera si pronuncerà poi in via definitiva. Che significa? Che la prima e l’ultima parola sarà solamente della Camera dei deputati.

La Camera diventerà l’unica assemblea legislativa e manterrà da sola il potere di votare la fiducia al governo.

L’aspetto è oggettivamente rischioso: troppo potere al governo.

Sulla necessità di una sola Camera che legifera, il comitato per il SI lo giustifica come condizione unica per avere più stabilità, ma il NO risponde che dal 1948 ad oggi solo due Governi, entrambi di Prodi, sono caduti con la fiducia, e che Monti, Letta e Renzi sono saliti al Governo per manovre di palazzo, non per il ricorso alla fiducia.

Il SI fa notare che già ai tempi della Costituente del ‘48 autorevoli membri, come Ingrao, si dichiararono contro il bicameralismo perfetto. Il NO risponde che lo scopo di Ingrao era ottenere la “centralità del Parlamento” e di applicare la democrazia partecipativa, mentre con questa riforma si vuole consolidare il primato dell’esecutivo, emarginando il parlamento rappresentativo, l’esatto contrario.

Nella nuova configurazione del Senato, i componenti saranno ridotti e non saranno più eletti ma nominati tra i consiglieri regionali/sindaci. Attenzione a questo punto. Non esiste alcuna regolamentazione della materia. Il nuovo testo all’art. 57 rimanda ad una futura legge che dovrà indicare la modalità di elezione dei senatori senza stabilirne i principi. Non solo i consiglieri regionali saranno in altre faccende affaccendati visto che saranno impiegati nella loro attività istituzionale di consiglieri (e qui metto in dubbio io il fatto che possa essere etico avere due incarichi contemporaneamente), ma non si conosce quale sarà il criterio di elezione. Chi vota SI alla riforma, vota a scatola chiusa? Consideriamo anche che, se la riforma entra in vigore a dicembre prossimo, sarà il governo attuale ad avere l’ultima parola sul regolamento che sarà elaborato su questa materia…

Ancora, il SI mette sul piatto che ci sono altri Paesi che hanno un Senato composto da 100 senatori, come gli Stati Uniti. Il NO punta i riflettori sul fatto che i senatori americani lavorano a tempo pieno e ciascuno ha a disposizione uno staff di 34 persone tra consulenti e impiegati, a differenza dei futuri senatori italiani, non eletti, che non avranno né un simile staff, né il tempo necessario, dovendo assolvere anche ai compiti di consigliere regionale o sindaco.

Il Senato cambia perché non saranno più i cittadini ad eleggere i suoi componenti.

La nomina indiretta del nuovo Senato viola, secondo me, il principio della sovranità popolare dei cittadini che la esprimono attraverso il voto, la stessa violazione è indicata proprio dalla Corte Costituzionale nella sentenza riferita alla legge elettorale del Porcellum, che non consente di dare preferenze nominative nella scelta del candidato da votare.

Per i futuri senatori a vita, il SI accentua l’importanza di limitare soltanto agli ex-presidenti il ruolo di una carica prestigiosa a vita, il NO contesta che questi 5 senatori “a vita”, nel nuovo ordinamento, saranno eletti dal Presidente della Repubblica ed avranno una durata identica a chi li ha eletti, alla stregua di uno staff personale del Presidente all’interno del Senato.

Sulle garanzie delle rappresentanza locale all’interno del Senato, riferite soprattutto alle minoranze linguistiche, è evidente uno squilibrio se il Trentino da solo esprime 4 senatori per il suo 1 milione di abitanti, tanti quanti l’Abruzzo e le Marche, che di abitanti messi insieme ne hanno quasi 4 milioni.

Vorrei capire anche come si può intendere rafforzata la democrazia partecipata, se per le leggi di proposta di iniziativa popolare il numero delle firme necessarie da raccogliere è triplicato da 50 a 150 mila!
Si parla di tempi certi per la discussione della proposta in Parlamento, come propaganda il SI; ma quali sono i tempi certi se la riforma rimanda ad una futuro regolamento ancora da scrivere!

Il quorum, una volta indetto il referendum abrogativo sarà più basso del 25% rispetto ad oggi, sarà complesso riuscire ad arrivare a farlo il referendum visto che saranno necessarie il 60% di firme in più rispetto ad oggi (da 500mila a 800mila). A occhio mi sa tanto di disincentivo piuttosto forte.

Affrontiamo il tema del taglio delle spese.

La Boschi presentò la riforma dichiarando un risparmio complessivo di circa 500 milioni di euro all’anno!
Facendo un particolare riferimento alla riduzione del numero dei senatori (220 in meno).
Non è così e non sono io a dirlo, ma una nota della Ragioneria dello Stato del 28 ottobre 2014 indirizzata al Ministero delle Riforme. Si parla infatti di un risparmio pari a 49 milioni per il taglio del numero dei senatori (circa 18.000 stipendio mensile x 220 senatori x 12 mesi) e delle relative indennità e in aggiunta di altri 8,7 milioni per la chiusura del Cnel. Sull’abolizione del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), si è tutti d’accordo dato che già oggi non esercita più alcuna funzione essenziale pubblica o istituzionale. Se fosse stata una legge costituzionale a se (della lunghezza di una riga), non avrebbe rischiato il NO di nessuno!

La riforma prevede che i diritti delle opposizioni saranno garantiti, definiti nei regolamenti e con un apposito «statuto delle opposizioni». A tutt’oggi questi regolamenti non esistono, e se, quando e come verranno scritti, la riforma non lo dichiara. Ancora un buco, quindi.

Dalla Costituzione viene eliminata solo la “provincia”, sostituta dalla parola “area vasta”, mantenendone tutti i requisiti di compiti ed organizzazione!

Dopo giorni di lettura, stremata per essere andata a verificare su diverse fonti quanto dichiarato da uno e dall’altro (si e adesso che faccio, mi fido di quello che dicono loro?), sono giunta alla conferma del mio pensiero.
Alcune tematiche le ho volutamente lasciate fuori, troppo tecniche.

Questa riforma non la condivido e non mi fido dei buchi lasciati negli articoli 57, 63, 64 e 71 i quali rimandano a future leggi o regolamenti che dovranno essere scritti non si sa da chi, e soprattutto non si sa come. Praticamente approvare questa riforma è come firmare una cambiale in bianco.

#ioVotoNo

Lavoro in una publishing company, adoro il mestiere impossibile di mamma in una città impossibile come Roma dove ogni iniziativa è una sfida. Amo condividere pensieri e parole

2 COMMENTS

  1. Quella che, tra l’altro, non viene mai affrontata è l’interazione tra gli articoli costituzionali e, maggiormente, nella “nuova”, oltretutto mal scritta, con errori sintattici e senza un approfondito esame di cause ed effetti che si verranno a creare applicandola. Insomma, un guazzabuglio distruttivo, che verrà a pesare sulle spalle e nella vita dei cittadini e che, soprattutto, se vincerà il si non avrà più possibilità d’essere modificata, salvo una rivoluzione! Un regime instaurato su una finta costruzione democratica.
    Mi piacerebbe aggiungere, se non fosse troppo lunga, una disamina di un costituzionalista di soli tre “nuovi” articoli: una follia elevata al cubo!

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