Sabrina e Cosima condannate alla pena dell’ergastolo

Ultima modifica 6 Novembre 2015

Accogliendo la richiesta dell’accusa, la Corte d’Assise di Taranto, dopo quattro giorni di riflessione in camera di consiglio, ha condannato Sabrina Misseri e sua madre Cosima Serrano alla pena dell’ergastolo per aver ucciso, il 26 agosto 2010, Sarah Scazzi, con isolamento diurno per sei mesi, pena accessoria della decadenza dai pubblici uffici e, per Cosima Serrano, della decadenza dalla potestà genitoriale, oltre al pagamento delle spese processuali e di quelle di mantenimento durante la custodia cautelare. Condannati, invece, a otto anni di reclusione Michele Misseri (responsabile anche del furto del telefonino di Sarah) e i fratelli Cosimo e Carmine, per aver occultato il cadavere della ragazzina, che aveva solo quindici anni.

La Corte non ha dunque creduto alla confessione, variamente ritrattata e rinnovata, dello zio Michele che si accusava di aver ucciso da solo la nipotina, all’insaputa di sua figlia e sua moglie, e ripetutamente aveva accusato gli inquirenti di avergli estorto dichiarazioni contro le donne di casa.

La condanna non è definitiva, naturalmente, fino alla decisione sull’eventuale appello e sul ricorso per Cassazione, già preannunciato dal prof. Franco Coppi, difensore di Sabrina Misseri, che già prima della lettura del dispositivo considerava tanto scontata la condanna in primo grado quanto l’assoluzione in Cassazione.

Stando, però, al quadro tracciato oggi dai due giudici togati e quattro giudici popolari di Taranto, la piccola Sarah è stata uccisa dalla cugina, ventiduenne, e dalla zia, sorella di sua madre, nella loro villetta, a pochi metri da casa sua. Sarebbero poi stati i fratelli Misseri a cercare di nascondere le tracce dell’omicidio, occultando il cadavere in un pozzo di campagna, dove sarebbe rimasto fino alla confessione di Michele Misseri.

Non si conoscono ancora le motivazioni della sentenza, che potrebbero essere depositate entro i prossimi novanta giorni, e in particolare il movente riconosciuto per l’omicidio, forse riconducibile alla gelosia per un amico comune.

Un processo mediatico, fin da principio, per scelta delle stesse persone oggi condannate, a partire dall’intervista televisiva di Sabrina che, dopo la confessione del padre, dichiarava: “Gli ho chiesto di spiegarmi perché l’avesse fatto. Da lui, non ce lo saremo mai aspettatiti. E’ sempre stato dedito alla famiglia, non ha vizi e non aveva mai lasciato trasparire la sua attrazione verso Sarah”.

Perché, allora, lo hanno fatto lei, l’amorevole cugina più grande, e la zia? Può la gelosia oscurare a tal punto la coscienza, la naturale protezione verso una ragazzina quindicenne che è cresciuta in casa propria?

La violenza, la patologica gestione degli affetti in termini di appartenenza o morte, non è maschile né femminile: purtroppo anche questa vicenda ne è la conferma.

Mi domando anche quale possa essere il motivo per cui tre persone, estranee ad un delitto tanto cruento quanto umanamente incomprensibile, come è l’uccisione per strangolamento di una ragazzina, decidano di dare una mano a nasconderne il cadavere, tornando poi come nulla fosse successo a casa loro, e nel paesino di poche anime e alla famiglia angosciata per la scomparsa di Sarah, che era uscita per andare al mare e non è più tornata dalla sua mamma.

Come si può pensare di mettersi dalla parte di chi l’ha così barbaramente uccisa, senza motivo? Può bastare il desiderio di proteggere moglie e figlia assassine? Quello, per zio Michele, era il cadavere della nipotina. E, per quanto lui potesse essere succube delle donne di casa, perché sono arrivati ad aiutarlo anche i suoi due fratelli?

 

Stefania Stefanelli

 

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