Scuola e cultura: mi spiego i calcinacci.

Ultima modifica 20 Giugno 2019

Crollano le scuole? No, su. Sono solo calcinacci.
Sono i giornalisti che le sparano grosse per allarmare, dai! Crolla il soffito ad Ostuni, a Sanremo proprio questa mattina!
E invece, vai a vedere le foto e… ecco, lo sapevo…sono solo calcinacci.
Solo.sicurezza-crollo3Cioè, dovremmo stare a scuola pensando che, se crolla l’intonaco, ci sta, esattamente, come ci sta che ad un bambino esca il sangue dal naso.
I calcinacci sul pavimento stanno lì a testimoniare che della scuola e del fatto che dentro ci siano i nostri figli…frega poco intanto a chi le ristruttura, intanto a chi le costruisce, intanto chi paga per questi lavori. Comincia ad essere un bel po’ di gente.
Basta che non abbia ragione Crozza quando dice “in Italia siamo avanti: non facciamo scuole antisismiche ma le costruiamo in modo che crollino prima del sisma”.
Dicevo ad una cara collega, che ridiamo amaramente a queste battute perché sono le uniche a portare fuori dalle mura scolastiche (quelle in piedi) la tristezza che esiste negli istituti, mascherata dalla passione dell’insegnamento.
Si pensa a risparmiare sulla scuola.

A tutti i livelli, da 10 anni, si pensa solo a risparmiare sulla scuola e sulle scuole…perché non creano ricchezza.

Perché la cultura non dà più da mangiare: lo dicono diversi esponenti della nostra politica da anni.
E oggi ai ragazzi, d’estate, non si propongono viaggi culturali, ma lavoro gratis.
Parliamoci chiaro, è questo il messaggio da leggere nel percorso faticoso della scuola in questi anni.
Articoli in cui ci si domanda se serva ancora studiare greco e latino, vengono scritti per testimoniare la loro eterna eternità… e se esiste questa necessità è perché è evidente che la tendenza sia opposta. Espressioni come “quei quattro sassi di Pompei”, detta da un politico di spicco come Luca Zaia qualche anno fa, per gente come me che si emoziona a camminare sull’Appia antica, sono da doppia pelle d’oca.
Voglio dire che se hai nel cuore il senso di ricchezza culturale, te la prendi con la mafia, la camorra, o chi ti pare senza denigrare l’anima storica e artistica del tuo paese.pompei-restauro

Senza dimenticare la polemica tra il politico suddetto e Dario Fo, di più di un anno fa, per il restauro della cappella degli Scrovegni. La pacata risposta di cercare fondi in quanto Premio Nobel, testimonia come un’amministrazione che rappresenta lo Stato possa reputare altro da sé la cura di opere d’arte (di Giotto).

Per contrasto riporto un articolo bellissimo dello scorso anno su L’Indro, dal titolo “Promuovere l’arte è un atto politico”, in cui Umberto Vattani, Segretario del Ministero per gli Affari Esteri, dice:

Noi italiani siamo gli unici a possedere la ‘macchina del tempo’. L’Italia, a differenza di qualsiasi altro Paese al mondo può vantare un patrimonio storico-artistico senza soluzione di continuità che si dipana per trenta secoli. A Singapore non si va indietro per più di 60 anni; negli Usa, forse 400 o poco più. Anche in Cina, la tradizione millenaria patisce l’uso di legno e terracotta, mentre i nostri antenati hanno utilizzato, per esprimersi, marmo e bronzo, che sfidano i secoli. In Italia, fra guerre, scorrerie predatorie, calate dei barbari, mai si è interrotto il cammino delle arti e della letteratura. Da noi son fiorite le Scienze politiche, con Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini; le Scienze astronomiche, con Galileo Galilei; l’Architettura militare con Leonardo da Vinci, altrettanto eccelso che nelle arti figurative“.
Siamo agli antipodi. Ma abbiamo mai sentito al Tg queste parole?
Una catena d’acciaio, di quelle lucenti, giganti, che ancorano le navi…una catena così lega senza respiro il trattamento riservato alla scuola e alla cultura.
Non la vedete anche voi questa catena? Io la sento ogni giorno.

Sì, perché l’amore per la cultura comincia a scuola. L’amore per il sapere, per il bello, per l’arte, per la storia inizia, cresce a scuola.

E se la si valorizza ci si può anche “mangiare” (nel senso pulito di lavorare) in tanti.
Sì, perché nel mondo, la nostra storia, la nostra arte e la nostra cultura vale più di quanto valga in Italia. La cultura qui non conta più e, se la scuola è l’azienda che produce e sostiene la cultura, per la proprietà transitiva, la scuola non può contare.  
Se si fa in modo che la cultura non dia da mangiare (ma fa più comodo che lo dia un lavoro in un call center lobotomizzante) allora io mi spiego i calcinacci e i “quattro sassi di Pompei”.

Ylenia Agostini

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