Sii grato perché sei nato

Ultima modifica 20 Dicembre 2016

Mi è stato detto che comincio ad essere come il sassolino nella scarpa per una parte del mondo adottivo.
Non ho ben capito se era un complimento o meno, ma io lo reputo tale perché non mi pongo censure nel parlare anche di quegli aspetti che troppo spesso vengono messi all’attenzione della massa in un modo che io reputo alterato e coperto da una patina di buonismo inaccettabile.
Sono quegli argomenti un po’ scomodi che una parte del mondo coinvolto nelle adozioni vorrebbe tenere mascherati perché, se mostrati nella loro totalità, potrebbero opacizzare la doratura con cui l’adozione vuole essere presentata al grande pubblico.

Mi spiego. Gira, come sempre sul mondo del social, un video dove un ragazzino di seconda media legge e commenta una lettera estratta dal libro “Cara Adozione”.

Il libro, che non ho letto e di cui non posso dire nulla nel modo più assoluto, è, secondo varie recensioni, un bell’insieme di lettere scritte da mamme adottive che raccontano la loro esperienza.
Niente da eccepire quindi se non per il fatto che ne è stato estrapolato questo video.

Il pezzo letto è una lettera scritta da un ragazzino adottato alla mamma biologica dove viene riportato un vissuto emozionale personale indiscutibile.

Un ringraziamento a tutto tondo da parte di questo ragazzino verso la madre biologica fatto con parole e toni che di ”fanciullesco” non hanno nulla.
Ribadisco che la posizione emotiva riportata rispetto la propria nascita è del tutto legittima.
C’è chi è fermamente convinto nell’esprimere gratitudine alla propria madre di nascita per aver fatto sì che lui/lei potesse nascere invece di decidere altrimenti, ma mi suona molto strano che un ragazzino, che è alle soglie dell’adolescenza (come anche quello che legge e commenta la lettera) possa aver già così ben introiettato e digerito la sua provenienza.

Quello che invece arriva a me è che questa lettera nasca da una grande forzatura, una cosa nata più dal desiderio di certi genitori adottivi che ancora una volta si sentono “bravi e buoni” se il pargolo ado esprime sentimenti di comprensione e perdono nei confronti della genitrice e non sentimenti negativi, come poi spesso accade nella realtà specie degli adolescenti.

Un mettere in bocca ad altri parole che vorremmo che i figli, adottivi e non, dicessero per farci fare la nostra bella figura.

Ora, chiariamolo subito, non sto facendo un caso su questa particolare lettera; magari il ragazzino è riuscito realmente nell’elaborazione della sua nascita in tempi sorprendentemente brevi ed ha al fianco una famiglia con i controc… Sicuramente il ragazzino che le ha lette e commentate ha una sensibilità straordinaria e riesce a fare valutazioni che difficilmente un altro adolescente “normale”, non farebbe se non dopo essere imbeccato da adulti che ben conoscono quel mondo.

Per ‘normale’ intendo uno che non è esattamente a conoscenza del mondo dell’adozione e delle sue dinamiche.

Allarghiamo il discorso partendo da questo episodio solo come spunto.
Mi fa sempre la stessa impressione quando, nel parlare di adozione, si sottolineano solo gli aspetti positivi e dolci. Non voglio fare terrorismo rispetto all’adozione ma, dato che una marea di genitori si sono ritrovati poi a fare i conti con realtà tutt’altro che rosee, sarebbe opportuno affrontare il discorso che una visione di realtà più ampia. Le emozioni che si legano al proprio vissuto, alla propria nascita, mi risulta non siano proprio proprio così facili e soprattutto affrontabili con tale serenità da una adolescente.

adozione

La rabbia è l’emozione più diretta e probabile che una ragazzo adottato si trova a vivere.

Rabbia vera, rabbia cattiva. Rabbia che il più delle volte non si sa contro chi rivolgere e rimbalza come una pallina in un flipper fra chi ti ha messo al mondo e poi lasciato, contro sé stessi perché percepiti come esseri indegni di essere amati fino ad arrivare ai genitori che ti hanno adottato perché vissuti come estranei.
Nella testa degli adolescenti adottivi c’è il più delle volte una confusione totale, confusione che non riescono quasi mai a elaborare da soli. Ci vogliono comunque anni di su e giù per riuscire a venirne a patti sempre ammesso che ci si riesca.

Ma torniamo al nocciolo della situazione.
Ho la netta sensazione che ci sia ancora una gran fetta di gente che voglia far passare l’adozione come una grande atto d’amore. Ecco è questo che mi fa arrabbiare.
Io non credo proprio che adottare sia una “bella cosa”; mi sono stufata di sentire commenti del tipo: “quanto siete bravi che avete adottato”…non siamo stati bravi, noi ci siamo trovati in una condizione di “bisogno” di un figlio (passatemi la parola bisogno che non è esattamente appropriata, ma anche la parola desiderio è altrettanto limitata), condizione che è coincisa con il bisogno del bambino di avere una famiglia e dove quest’ultimo bisogno è di gran lunga più importante del primo.

È come incontrarsi ad un bivio e decidere di cominciare un cammino insieme anche se la decisione viene presa esclusivamente dagli adulti e subita dai bambini. Mi chiedo inoltre, e qui mi aggancio alla lettera, se sia veramente utile far passare sempre e comunque il che messaggio queste madri biologiche siano tutte delle “povere madri disperate che non hanno potuto fare altrimenti”.

Io credo che questo diventi nel tempo un’arma a doppio taglio nel senso che, se io mi impegno a convincere mio figlio che la sua mamma “poverina non poteva avere altra scelta e che questa si sia prodigata nel trovargli una situazione adeguata a farlo crescere per il meglio” e questa visione non aderisce alla realtà vissuta dal ragazzino nella vita reale il quale magari è stato adottato in un’età in cui conserva ricordi legati al suo passato, se questi non collimano con quello che noi gli stiamo dicendo da tempo, come gli spiego poi che quella era solo una favoletta inventata per evitare di farlo soffrire e che in realtà spessissimo noi non ne sappiamo assolutamente nulla delle ragioni per cui la sua madre biologica lo ha lasciato?

Come potrà sentire, accettare e poi elaborare una rabbia più che lecita se noi siamo i primi a dirgli che non c’è nessuna ragione per sentire questa rabbia?
Alzi la mano chi non ha provato sentimenti di rabbia verso una persona che ci ha lasciato.

Basta ripensare alla prima volta che siamo stati lasciai dal moroso o morosa di turno!!! Rapportate ora il tipo di abbandono e centuplicate la sensazione di rabbia. Come faccio a dirgli, e soprattutto perché devo farlo, che la sua rabbia non è legittima?
Mi sembra che sia l’ennesimo tentativo di soffocare dei sentimenti solo perché sono sentimenti sgradevoli e difficili da affrontare anche per chi li vive di riflesso.
Sei arrabbiato, sei triste, sei depresso…non va bene, è un sentimento che non devi provare…sii grato perché sei nato.
Cavoli, ci pensate? SII GRATO PERCHÉ SEI NATO Spesso neanche gli adulti riescono ad elaborare un tale pensiero. Io credo di esserci arrivata non da molto a questo pensiero, sarò tarda io!
Sarei più per permettere loro di elaborare la rabbia in maniera adeguata, senza indoramenti di pillola, meglio se accompagnati da qualcuno che li aiuti a riconoscere che questi sono sentimenti legittimi ma che può arrivare anche la comprensione, persino il perdono spesso, perché solo accogliendo dentro di sé il proprio passato, bello o brutto che sia, secondo me si arriverà a farlo divenire solo passato.

® Riproduzione Riservata

1 COMMENT

  1. Eh si, Elisabetta, il discorso non fa una piega perchè in verità la realtà di ciascuno è differente e perchè realmente i nostri figli arrivano ad elaborare il loro abbandono con i loro tempi personali.
    Ci sono realtà in cui un genitore adottivo fa questo tipo di valutazioni, perchè la storia del proprio figlio è proprio quella: una scelta di vita differente rispetto all’aborto. E allora pensare e dire: “Sono grato perchè sei nato” è autentica.
    Ma è un adulto a farlo. Un bambino o ragazzino adolescente difficilmente ha questa consapevolezza e tante volte scrive e dice cose che hanno lo scopo di gratificare l’adulto che, in fondo in fondo, ha paura di perdere.

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