Sorriso contagioso, smile per tutti.

Ultima modifica 11 Maggio 2018

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I sorrisi sono contagiosi, anche quando si tratta di ricordarli. Lo rivela uno studio condotto da un team della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (Sissa) di Trieste: per ricordare un’emozione (positiva, ma anche negativa) ripercorriamo la sequenza motoria dell’espressione facciale corrispondente a quell’emozione. In poche parole: per ricordare un sorriso noi sorridiamo.

Più in dettaglio, con lo smile ricordiamo la felicità, facciamo una smorfia per rivivere il dolore, aggrottiamo le sopracciglia per ricordare la rabbia: “Le teorie dell’emozione incorporata, embodied in inglese, sostengono che per capire un’emozione riproduciamo prima i movimenti del viso dell’espressione provocata da quell’emozione“, spiega Jenny Baumeister, ricercatrice della Sissa. “In pratica, se osserviamo qualcuno che sorride, per comprendere ciò che prova sorridiamo a nostra volta. Abbiamo applicato questa osservazione nel campo della memoria e abbiamo testato se la stessa cosa poteva essere vera anche quando si cerca di ricordare un’emozione“.

Baumeister è la prima autrice dello studio appena pubblicato su “Acta Psychologica“, che ha verificato se la riproduzione dell’espressione emotiva, come sorridere o aggrottare la fronte per esempio, aumenta la capacità di ricordare l’emozione corrispondente. Negli esperimenti i soggetti hanno risposto a un test di memoria sulle emozioni.

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Per controllare le espressioni del viso i ricercatori hanno usato un espediente: nel momento in cui i volontari dovevano ricordare, potevano avere la faccia completamente libera, oppure bloccata con una maschera di argilla, molto simile a quelle che si usano normalmente in cosmetica. “L’argilla, una volta spalmata sulla faccia, si indurisce e ostacola le espressioni” , spiega Francesco Foroni, neuroscienziato della Sissa e fra gli autori dell’articolo.

I risultati sono chiari: la prestazione nei test mnemonici con la faccia bloccata è significativamente peggiore rispetto a quando i volontari avevano il viso libero. “I dati confermano l’ipotesi che ripetere il pattern motorio associato all’emozione agevola il ricordo. Questo ci fa pensare che anche in fase di immagazzinamento dei ricordi l’informazione motoria viene codificata in memoria e riutilizzata nel recupero”, spiega Raffaella Rumiati, che ha coordinato questo studio.

Sorrisi per tutti!

Paola Lovera

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