Una nuova educazione alla sessualità

Ultima modifica 15 Luglio 2019

Leggo un post sull’invito ad estendere l’educazione alla sessualità alla fascia d’età 4-16 anni, rivolto dall’Ufficio Europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità alle scuole.

Prima di leggere “il mondo” che si è scatenato dietro a questa iniziativa, sono andata alla fonte per leggere la prefazione al documento “Standard per l’educazione sessuale in Europa” .
Invito a leggerla perché mette in evidenza problematiche sicuramente non nuove con cui i nostri figli hanno o avranno a che fare e che non sono affatto da sottovalutare.

Mettiamoci la crisi di valori che stiamo attraversando e che va sicuramente recuperata sotto altri punti di vista; mettiamoci che dovremmo educare i nostri figli a non bruciare le tappe nella loro vita sociale e sessuale; mettiamoci anche un orientamento religioso che può avere remore per questo tipo di educazione sessuale olistica (cioè responsabile e comune ad entrambi i sessi). E’ anche vero che, prima di parlare di educazione sessuale bisognerebbe parlare di educazione all’affettività, carente trasversalmente in tutti i contesti sociali.

E’ sicuramente un’iniziativa che spiazza un po’ per la sua estensione tematica e per le età che investe, ma che in fondo ha delle giustificazioni da non sottovalutare:

“…I tassi crescenti dell’HIV e di altre infezioni sessualmente trasmesse, le gravidanze indesiderate in adolescenza e la violenza sessuale…. Per maturare un atteggiamento positivo e responsabile verso la sessualità  essi (bambini e ragazzi) hanno bisogno di conoscerla nei suoi aspetti di rischio e di arricchimento”


Si parla poi di “standard per l’educazione sessuale” che devono essere rivisti nell’area europea, per dare alle scuole un indirizzo concreto nella redazione dei curricoli ed arricchire la loro offerta formativa.

Il documento, a differenza di quanto ho letto in alcune critiche, mette fortemente in evidenza il ruolo della famiglia, del contesto sociale e dell’amore nel passare informazioni e valori sulla sessualità ed esprime il concetto che questo rafforzamento dell’informazione da parte della scuola debba essere complementare al precedente, dal quale non si può prescindere.

Inoltre il documento denuncia, credo a ragione, che si ricorra ancora troppo poco all’informazione degli specialisti e che spesso lo si faccia solo all’insorgenza di un problema.
A scuola si parla già di sessualità, ma spesso esclusivamente in merito ai problemi, incutendo timore per le malattie sessualmente trasmissibili, ma, alla fine, non ispirando un vero cambiamento.

Si spingono per questo le scuole a parlarne in termini di informazione pura, semplice, che riguardi la sfera della sessualità e non una sola parte.

E’ difficile da accettare perché forse richiede un cambiamento anche in noi stessi: quegli adulti che non sanno come prendere i propri figli o i propri alunni, spesso e volentieri.
E’, però, un argomento molto delicato che, pur mettendo la scuola in situazione di complementarità con la famiglia, si scontra con ideologie morali e religiose. Testimonianza ne sia il fatto che dietro questa iniziativa si sono sollevati diversi comitati, associazioni e gruppi religiosi.
Sicuramente, andando a cercare informazioni il più possibile attendibili, ho realizzato che ci sono movimenti molto forti contro gli stereotipi di genere che partono dal nostro Consiglio d’Europa  e che invitano tutti gli stati membri a lottare contro l’odio ignorante che provoca ogni giorno sofferenze e discriminazioni. E le indicazioni dell’OMS risultano una delle parti attuative di questo tema.
Purtroppo ancora oggi siamo testimoni che un’ identità sessuale diversa dichiarata, suscita spesso odio e violenza.
Forse è per questo che dovremmo dare ai nostri figli con più convinzione un’educazione che abbia principi saldi nel rispetto di ogni persona a prescindere dal sesso e dall’identità sessuale.
Non so se questo nuovo indirizzo possa essere di aiuto ma se non facciamo niente, niente accadrà.

Leggendo tutti i programmi suddivisi per fascia d’età (pag 38 del documento) l’unica cosa in cui non mi trovo concorde è l’espansione eccessiva verso il trattamento di temi profondamente intimi per un bambino da 0-4 anni. Mi sembrano un po’ invasive e soprattutto precoci le tematiche della masturbazione e del piacere per quanto importanti. Il pudore è una delle sensazioni che i bambini avvertono prima nell’ambiente familiare, a diversi livelli, come è giusto che sia e credo vada vissuta con se stessi e, se se la sentono, parlandone con la famiglia. Magari parlarne più avanti.
Parlare dei diversi tipi di famiglia anche ai più piccoli, invece, potrebbe essere un arricchimento della propria conoscenza del mondo, funzionale al rispetto di tutti.
Ci sono poi dei punti importantissimi in cui si parla, nella fascia  4-6, della consapevolezza che “il corpo mi appartiene” e che alcune persone possono fingersi gentili ma, se hanno determinati atteggiamenti, non lo sono. Certo che la maggior parte dei genitori spiegheranno queste cose ai loro figli, ma, se la scuola prendesse in carico l’impegno di consapevolizzare i bambini sul tema, avremmo un sostegno come genitori.
Devo ammettere che l’imbarazzo della “sessuologa” interpretata dalla grandissima Anna Marchesini (solo per allentare la serietà assoluta del tema) mette a nudo una nostra reale difficoltà nel parlare apertamente di queste tematiche. Il pudore un po’ ci frena. Forse è un bene? Non sono proprio convinta. Se avessi una formazione adeguata sarei contenta di intraprendere questa strada che sicuramente ogni scuola potrebbe modulare a seconda dell’idea portante del Piano dell’offerta formativa.
Certo è che  un mondo “occidentale”così poco tollerante non ci fa onore e se l’amore per il prossimo è sicuramente un valore che va diffuso e condiviso, il concetto che, pur non amando il mio prossimo, pur non condividendo le stesse idee, gli devo rispetto, è ancora più importante. E conoscersi a fondo, capire che la diversità è normale, è il punto di partenza. 

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