Ultima modifica 3 Luglio 2015

 

3Mi è scappato un sorriso ieri mattina, quando nella cassetta della posta ho trovato il pacchetto ordinato da ebay.
I soliti stick per l’ovulazione.
L’ennesimo stock acquistato.
Non lo facevo da più di un anno in realtà, segno del mio bisogno di ricominciare, ma con semplicità.
Ammesso che stikkare ogni mese significhi ricominciare con semplicità, ovvio.
Ma il sorriso non mi è scappato per questo motivo, ma per questo: il venditore, che sarà sicuramente una -trice ha messo nel pacchetto un test di gravidanza gratuito e, vuoi per promozione o qualcos’altro, ha pensato di scriverci sopra gli auguri per l’ottenimento dell’obiettivo.

Mi ha fatto tenerezza ‘sta cosa.
Mi ha riportato indietro di anni.
Mi sono accorta di quanto disincantata io sia oggi.
Mi sono accorta di quanto innaturale per me è rimanere incinta e portare avanti una gravidanza, tanto da considerare risibile un augurio del genere. Come a dire “non è roba per me, a me no, non può succedere”. E questo, ne sono sicura, ad di là del voler credere ai miracoli o alle happy pills o no, è il pensiero di molte donne passate per questi inferni.
Dico la verità.
Al di là del mondo web, nella realtà io conosco solo persone che non hanno mai avuto difficoltà ad avere una gravidanza, e non parlo di giovincelle ventenni, per le quali immagino (forse) sia un gioco da ragazzi. Parlo di vecchiarde della mia età che da un giorno all’altro decidono che è il momento e zac! hanno il loro bambino.
A volte ho la sensazione di avere di fronte una realtà distorta, fatta solo di storie difficili, come fosse la normalità. Poi invece la realtà fuori da tutto questo, è un’altra, ed è la realtà normale.
Allora mi chiedo se sono io che faccio sì che tutto questo avvenga. Se sono io che ho tutto questo potere.
Il potere della mente è forte, lo sto imparando con lo yoga, ed è forte la capacità di autoguarigione.
Oggi che ho resettato tutto, vivo come se ciò che è accaduto fosse accaduto a qualcun’altra. Sono distaccata, scettica, fredda. In tutto questo tempo non mi era mai successo di vivere così la mia storia.
Forse una sorta di autoprotezione: facciamo il gioco che le cose brutte che sono successe in realtà non sono successe a me.
A volte ho la nausea a sentir parlare di pma, di adozione, di diagnori pre-impianto, di eterologa.
Le persone, giustamente, mi chiedono che piani sto portando avanti. Ho abituato tutti a pensare che io sia una che attacca e che ha sempre un piano B. Era così.

Ora no.

Non ce l’ho il piano B.
Non voglio averlo.

E’ come se stessi rifiutando la mia realtà.
E’ come se stessi volutamente dimenticando che sono una donna malata che non è in grado di portare avanti una gravidanza.

Poi succedono queste cose qui: Cimitero dei feti è ancora polemica.
Sepoltura dei feti: approvata la delibera della giunta Renzi e poi arriva questa lettera:

Renzi approva il cimitero dei non nati, un calcio alla 194

Se non avete tempo di leggere, vi prego, ritornate più tardi e soffermatevi un attimo su questa lettera della signora Lidia Ravera.
Soffermatevi su quelle parole pesanti come macigni.
Poi tornate qui.
Poi uscite e confrontatevi con quel mondo con cui anche io mi confronto oggi, quello fatto di sguardi di compassione e di espressioni a punto interrogativo. Quello fatto di persone che partoriscono figli senza porsi domande, ma solo perchè la Natura, così ha deciso per loro.

Poi di nuovo tornate qui. Qui, in questo mondo fatto di cose anomale, di cose che non funzionano come dovrebbero funzionare. Questo mondo in cui fare l’amore con il proprio compagno non ti dà nessun risultato di concepimento. Questo mondo in cui “la Natura ha scelto per te ed evidentemente le cose per te devono andare così, non andare contro Natura”.
Poi fermati a pensare a quei grumi di materia che vuoi chiamare bambino o bambina.
E a “quelle donne che, poiché il corpo ha le sue insondabili leggi, non sono riuscite a portare a termine il loro dovere di animali al servizio della specie.”

Io sono una di quelle donne.
Fuori di qui i discorsi sulla 194.
Non permetterò che se ne parli, come ho già fatto in passato.
Se non posso impedirlo ad una donna qualunque, che però viene pagata per scrivere sulla tastiera del suo computer, lo posso fare qui.
Non ho nulla contro la signora in questione, vorrei solo non sentirmi così piccola, dopo aver letto il suo articolo. Vorrei solo sentirmi così poco utile per la specie e per il dovere per cui sono stata chiamata in quanto femmina.
Poi vorrei non dover parlare di aborto, e vorrei non dovermi giustificare per aver sentito come tutti figli miei, tutti i prodotti del concepimento delle mie gravidanze.
Io non ho seppellito nessuno dei miei figli, gravidanze troppo precoci, un solo raschiamento, che è finito in un laboratorio di biologia, un bimbo incastrato in una tuba invece che in utero, buttato via insieme alla tuba stessa.
Però ho piantato un salice per uno di loro.
Sono passati tre anni da allora, e il nostro albero ora è bellissimo. Io lo accarezzo, ci parlo, rimetto a posto il cuore di plastica che allora avevamo attaccato e che inevitabilmente si spezza per la pioggia e il tempo che passa e mi fa sorridere. Mi ricorda quanto sarebbe potuto crescere quel bambino, ma non è un ricordo triste.
E’ un modo per dire a me stessa che anche io sono stata capace di far passare per questo mondo un pezzo di me e del mio compagno, perchè donne come la Ravera, mi ricordano che questo è il nostro dovere e che siamo al mondo per questo.
A me viene da ringraziare questa signora, perchè in questi giorni mi ha aperto gli occhi. Finalmente ho letto negli sguardi delle persone che non sono passate per queste maglie strette, quello che non avevo mai visto.
Davo per scontato che si comprendessero i comportamenti postumi i miei aborti, ma poi, di fatto, non ricevevo mai ciò che mi aspettavo. Il gap stava proprio lì. Ora lo capisco. Stava, sta, nell’attribuire o no il significato di figlio a quei grumi di materia che ho abortito.
Ho dato per scontato che quei grumi fossero considerati comunque figli miei da tutti, come istintivamente ho fatto io dal test di gravidanza positivo in poi.
Invece non è così.
Sorrido.
Inconsapevolmente questa signora, tanto attenta a difendere i diritti delle donne (ma è evidente, non tutte le donne), mi ha dato la chiave di lettura per stare bene.
Ora so che il mio istinto di animale ha sempre funzionato.
Ora so che non soffrirò più per quegli sguardi che non corrispondevano agli sguardi che io pensavo di comprensione per la mia situazione.
Ora so che l’egocentrismo, mascherato da paladino dei diritti della donna, non fa parte del mio mondo.
Ora so che, pur volendo dire a me stessa che le cose non sono accadute e che è stato tutto uno scherzo, io sono una persona che non ha figli, forse non li avrà mai, ma sono comunque una madre, oltre che una donna.
Sta qui il punto.
Ora io sono prima una madre, poi un donna.
Per gli altri, sono prima una donna. Sorrido, perchè non è una questione ideologica questa, è un dato di fatto invece.
E sono una madre con tutti i suoi diritti di madre e di donna.
E non i diritti di ricevere una pensione da abortiva o i diritti di chiedere un’indennità all’INPS.
Sono una madre con il diritto di sentirmi in lutto ogni volta che abortisco.
Il diritto di piangere non per me, ma per il figlio che non ha avuto l’opportunità di vivere questa vita.
Si parla tanto di ingerenza di alcune istituzioni sulla vita del cittadino a-politico, a-religioso, a-sociale.
L’ingerenza in questa lettera sta nel voler fare di un gesto (quello del sindaco di Firenze), sicuramente politico (ma poco mi importa), un manifesto contro la legge 194, ancora nelle modalità del grido “l’utero è mio e ci faccio quello che mi pare!”, perchè, se pur è fuori moda, andare nelle piazze a sventolar reggiseni, scegliere opportunamente certe parole (non-mamme, cimiterino, grumi di materia, tomba-culla, crociate del superfluo, eccetera) è atto di violenza gridato ad alta voce tanto quanto sventolare reggiseni e vagine.
E non provateci ancora a parlare di impedimento alla 194.
A nessuno delle non – mamme viene da pensare che sarebbe opportuno stracciare questa legge in nome di “un fazzoletto di terra smossa” dove andare a piangere. Si cerca solo conforto e omologazione a questa società che ti impone di raccontare solo l’evento lieto, solo quello che va bene, mettendo in un angolo il brutto, il dolore, la morte il lutto.
Perchè facciamo un pò ribrezzo noi donne che parliamo di dolore.
E’ più facile dire che siamo delle fissate, che non andiamo avanti nella vita, che guardiamo solo indietro, piangendo davanti a tombe che non contengono niente.
E’ più facile nascondersi dietro questo che porgere la propria mano.
E’ più facile ghettizzare il dolore, in associazioni, circoli, blogs, movimenti per la vita, che guardare in faccia certe realtà.
E’ più facile pensare che tua sorella, quella con cui hai condiviso tutto, ce l’abbia con te perchè sei rimasta incinta, piuttosto che credere che i suoi occhi pieni di dolore e il suo silenzio, il suo allontamento, hanno in essere una sola domanda:
“non mi interessa di te mamma, per te sono felice, ma perchè gli altri bambini si, e mio figlio invece, non ha la possibilità di vivere?”

Grazie signora Ravera.
Lo dico anche io a lei, accogliendo le parole di Claudia Ravaldi di CiaoLapo Onlus:
“Uscite dai nostri uteri per favore”.

…come se tutto fosse come prima.
come se un soffio di vento
e sabbia spazzata via dalla strada
il sapore del mare all’alba.
eppure mi piego
incapace di comprendere il perchè di quello che è stato,
come un ramo spezzato
sanguino.

Anna 

La redazione del magazine. Nato nel maggio 2013, da marzo 2015, testata registrata al tribunale di Milano. Mamme di idee rigorosamente diverse commentano le notizie dell'Italia e del mondo, non solo mammesche.

3 COMMENTS

  1. capisco tutto, tutta la tua delusione e la tua rabbia, e anch’io in questi giorni sono in fase “ma perchè nella mia vita va tutto in salita e non trovo mai una discesa?” ancora non ho trovato la risposta, e non credo di riuscire a trovarla mai, mi basterebbe soltanto che le persone portassero il rispetto che merito, come persone, ancora prima che come donna!
    ti mando un abbraccio Natascia

    • ah si certo.. ha chiesto scusa. ma chissenefrega?
      troppo facile fare delle cavolate e poi dopo, chiedere scusa.
      resta il fatto che certe dichiarazioni io le ho sentite e l’assessore le ha fatte, quindi le pensava è questo, solo questo il punto.
      Poi, concordo sul fatto che ognuno di noi abbia il diritto di esprimere la propria opinione, guai se non fosse così, però… quando una persona svolge un ruolo pubblico,prima (e non dopo) dovrebbe pensare a quello che dice. così non ha il problema di dover chiedere scusa.
      personalmente delle sue scuse, me ne faccio un baffo.
      anzi… per quanto mi riguarda avrebbe fatto più bella figura a perseverare con la sua opinione.
      ma questa è la mia… ovviamente!
      Anna, sono con te.
      elisabetta

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