9 ottobre 1963. Gli abitanti della valle del Vajont sono in casa: è ora di cena.
Ancora non sanno che di lì a poche ore un ‘ enorme valanga d’acqua si abbatterà su di loro provocando circa 2000 vittime, tra cui 487 bambini.
Valanga provocata dalla rottura della diga. Voluta dal conte Volpi di Misurata, ex ministro fascista, fondatore e presidente della Società Adriatica per l’Energia Elettrica, la SADE, fu costruita nel 1956 senza autorizzazione ministeriale.
A lavori iniziati ci furono alcune scosse sismiche e allora la SADE fece effettuare ulteriori rilievi geologici. Venne fuori che c’era il rischio di slittamento del terreno verso il bacino artificiale formato dalla diga.
Nonostante questo, la SADE non inviò mai i rapporti di questi rilievi agli organi di controllo. E, nonostante una serie di frane, si decise di proseguire la costruzione, con il consenso degli apparati statali e politici.Intorno alle 22:00, Giancarlo Rittmeyer, di guardia alla diga, chiama l’ingegnere Biadene, rappresentante della SADE, per avvisarlo che la montagna sta cedendo a vista d’occhio. Biadene cerca di calmarlo, ma lo esorta a “dormire con un occhio solo”.
La centralinista di Longarone, ascoltando la telefonata, chiede se ci sia pericolo anche per quel centro.
Biadene le risponderebbe di non preoccuparsi, e di “dormire bene”.
Alle 22.45, la diga cede e 260 milioni di metri cubi di montagna si riversano nel lago formato dalla diga: una massa d’acqua alta 200 metri si riversò sui paesi di Longarone, di Erto e di Casso. Ci furono duemila vittime!
Ancora non sanno che di lì a poche ore un ‘ enorme valanga d’acqua si abbatterà su di loro provocando circa 2000 vittime, tra cui 487 bambini.
Valanga provocata dalla rottura della diga. Voluta dal conte Volpi di Misurata, ex ministro fascista, fondatore e presidente della Società Adriatica per l’Energia Elettrica, la SADE, fu costruita nel 1956 senza autorizzazione ministeriale.
A lavori iniziati ci furono alcune scosse sismiche e allora la SADE fece effettuare ulteriori rilievi geologici. Venne fuori che c’era il rischio di slittamento del terreno verso il bacino artificiale formato dalla diga.
Nonostante questo, la SADE non inviò mai i rapporti di questi rilievi agli organi di controllo. E, nonostante una serie di frane, si decise di proseguire la costruzione, con il consenso degli apparati statali e politici.Intorno alle 22:00, Giancarlo Rittmeyer, di guardia alla diga, chiama l’ingegnere Biadene, rappresentante della SADE, per avvisarlo che la montagna sta cedendo a vista d’occhio. Biadene cerca di calmarlo, ma lo esorta a “dormire con un occhio solo”.
La centralinista di Longarone, ascoltando la telefonata, chiede se ci sia pericolo anche per quel centro.
Biadene le risponderebbe di non preoccuparsi, e di “dormire bene”.
Alle 22.45, la diga cede e 260 milioni di metri cubi di montagna si riversano nel lago formato dalla diga: una massa d’acqua alta 200 metri si riversò sui paesi di Longarone, di Erto e di Casso. Ci furono duemila vittime!
Dopo il disastro il Ministero dei Lavori Pubblici avviò un’inchiesta per individuare le cause della catastrofe.
Il processo inizia nel 1968 e si conclude in Primo Grado l’anno successivo con una condanna a 21 anni di reclusione per tutti gli imputati coinvolti, per disastro colposo ed omicidio plurimo aggravato: il direttore del servizio costruzioni della SADE, il direttore dell’Ufficio Lavori del cantiere del Vajont, l’ingegnere capo del Genio Civile di Belluno, il direttore generale ENEL-SADE, il direttore dell’Istituto di Idraulica della facoltà di Ingegneria dell’Università di Padova, in qualità di esperto idraulico e di consulente della SADE, i componenti della Commissione di collaudo della diga del Vajont, già appartenenti al Consiglio Superiore del Ministero dei Lavori Pubblici.
In appello la pena verrà ridotta ed alcuni verranno assolti per insufficienza di prove.
Sono passati 50 anni da quella che è stata definita una tragedia annunciata…
D’altronde in Italia siamo sempre pronti a piangere i morti ma non ad evitare i disastri.
D’altronde in Italia siamo sempre pronti a piangere i morti ma non ad evitare i disastri.