Ultima modifica 28 Dicembre 2016

 

Il Ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge interviene a chiarire la sua posizione riguardo alla proposta di riconoscere la cittadinanza italiana ai figli degli stranieri nati sul territorio italiano, e lo fa ricordando che negli altri Paesi dell’Unione Europea criteri simili vigono da tempo.

Così in Spagna, dove «bastano due anni di residenza per chiedere la cittadinanza, e per far sì che i figli che nascono dalle coppie dove uno dei due risiede da almeno due anni possano chiedere automaticamente la cittadinanza quando nascono».

Uno ius soli temperato, quindi, dalla verifica dell’integrazione dei genitori nel Paese che li ha accolti, anche se è troppo presto per fissare un tempo ragionevole, visto che pendono all’esame del Parlamento venti proposte di legge sul tema, tra cui quella presentata dal Ministro, con la previsione di un periodo di residenza di almeno cinque anni.

Del resto, solo gli Stati Uniti adottano uno ius soli assoluto, mentre è diffuso il sistema misto: ad esempio, si riconosce la cittadinanza ai figli nati nel territorio da chi a sua volta vi era nato, oppure si richiede un periodo minimo di residenza dei genitori (otto anni in Germania).

Meno netta, invece, la posizione del Ministro riguardo all’abolizione del reato di clandestinità, sulla quale si sono levate aspre critiche anche nelle pagine del nostro magazine, appunto con riferimento all’esperienza europea.

In una intervista a Radio 24 CécileKyenge rimanda alle «amministrazioni locali una valutazione in questo senso», fermo comunque il punto per cui il fatto che una persona sia o meno clandestina «va accertato dopo aver verificato i fatti e non a priori».

Condivido pienamente lo spirito della riforma in materia di cittadinanza: ha il merito di aver provocato nel Paese un ripensamento del valore fondante la nostra democrazia, da molti finora ignorato, e consente di evitare ai tanti “italiani di seconda generazione” il rischio di essere spediti, appena raggiunta la maggiore età, in un Paese che non hanno mai nemmeno visitato e della cui cultura sanno ben poco, per essere cresciuti ed educati in italiano, in scuole italiane, tra amici italiani.

Rischio che si sostanzia nell’attesa di un provvedimento del decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell’interno, che accerta (ai sensi dell’art. 9, lett. f, della legge 5 febbraio 1992, n.91) che il cittadino extracomunitario ha risieduto legalmente sul territorio italiano per dieci anni.

Provvedimento ampiamente discrezionale, che potrebbe essere negato per la carenza dei mezzi di sostentamento necessari non solo per la vita del richiedente, ma anche per assolvere «al dovere di solidarietà sociale di concorrere con i propri mezzi, attraverso il prelievo fiscale, a finanziare la spesa pubblica funzionale all’erogazione dei servizi pubblici essenziali» (Cons. Stato, sez. VI 03 febbraio 2011 n. 766).

La verifica della loro integrazione con la comunità italiana dove, al contrario, valere a fugare i rischi, ventilati dagli oppositori, di un “affievolimento” della nazionalità, che – forse – sarebbe meglio evitare sostenendo serie iniziative di informazione e partecipazione alla vita sociale del nostro Bel Paese, ed alla condivisione di quegli stessi doveri di solidarietà ignorati anche da buona parte dei cittadini, come dimostrano i dati sull’evasione fiscale.

Come scrisse sul Corriere della SeraGian Antonio Stella, autore anche di “L’Orda. Quando gli immigrati eravamo noi”, cancellare con un rapido colpo di spugna la tradizione italiana di trasferimento della cittadinanza per iussanguinis tipica dei Paesi di emigrazione, per riconoscerla automaticamente a chi nasce sul nostro suolo, sarebbe una forzatura e potrebbe «creare una reazione di inquietudine, se non di ostilità, anche tra molti che danno per ovvia la necessità di cambiare la legge attuale».

Non capisco invece cosa intenda il Ministro riferendosi alla verifica in concreto della clandestinità, visto che come per qualsiasi altra fattispecie criminosa nessuno può essere condannato per questo reato se non è stato accertato, appunto in concreto, che ne è responsabile.

 

Bianca Villa

La redazione del magazine. Nato nel maggio 2013, da marzo 2015, testata registrata al tribunale di Milano. Mamme di idee rigorosamente diverse commentano le notizie dell'Italia e del mondo, non solo mammesche.

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