Conoscenza e crescita personale: siamo noi adulti i responsabili

Ultima modifica 17 Giugno 2023

Conoscenza e crescita.
In cinque anni di primaria li vedi passare da nanetti mocciosi a ragazzini.
Di settembre in settembre sono sempre più alti e fanno domande sempre più difficili.
Non è facile andare a tempo con loro. Spingerli a crescere quel giusto che poi, alla fine, sconfina nell’essere persona.
C’è chi dice che il giusto e lo sbagliato siano relativi… ma se partiamo dai basilari io credo che di relativo ci sia ben poco.

Crescere nel giusto è quando ti opponi (ed è lecito opporsi), ma con rispetto.

E’ quando chiedi, motivando, ma senza pretendere.
Quando pensi a te, ma devi considerare minimo altre 23 persone.
E’ quando pensi a fare la tua parte, prima di additare gli altri.
Quando ti impegni per ottenere un risultato, e se non arriva, provi di nuovo.

Conoscenza e crescita

Crescere così è dura, ma è l’unico modo.

Ma una domanda: pensiamo che tutto questo riescano a farlo da soli?

Ora metto uno specchio in cui rifletterci, come adulti responsabili, e vediamo cosa succede.
Parliamo di conoscenza. Mettere un bambino di fronte ad un ostacolo è sempre un grande sacrificio. Vorresti sempre un gran bel sorriso stampato in faccia, da mamma e da insegnante, ma sai molto bene che daresti l’avvio alla più grande presa in giro di tutta la storia.
Un bambino merita di viversi vittorie e sconfitte.
Sì, sembra la scoperta dell’acqua calda.
A dirlo si rischia di banalizzare. Ma a fare in modo che accada veramente, no.

Da genitori, se i nostri bambini si trovano davanti ad un ostacolo, tendiamo a buttarci un po’ di zucchero sopra. La volontà è quella di far passare quel momentaccio con un premio o un “dai non importa” o persino a far finta di niente, che è la cosa peggiore, perché se non viene osservato, monitorato negli sviluppi, riconvertito, il suddetto momentaccio diventa cronico e lascia solo lo stampo del fallimento.

Ci sono anche genitori che non accettano l’errore, facendo vivere al bambino una sorta di salto nel burrone: una sensazione di non ritorno.

Da insegnanti capita di dare qualche suggerimento. Forse per aiutare i nostri bimbi e anche un po’ la nostra autostima, quasi avessimo paura che il non riuscire faccia male.
Oppure accade di addossare la colpa della non comprensione, tutta al bambino, quando siamo noi a non essere riusciti a spiegarci.
E’ dura guardarsi allo specchio, ma, per quanto mi riguarda, meglio che lo facciamo noi, piuttosto che chiederlo a chi non può ancora difendersi.
In realtà non riuscire in quel momento è esattamente nonriuscireinquelmomento e sta a noi adulti decodificarne i motivi e trovare le strade per riattivare la conoscenza.

Non ha legami con l’essere, ma solo con il sapere: in quel momento qualcosa non è stato imparato, ma niente vieta che venga appreso in seguito.

L’innesco della conoscenza è ogni giorno e di limiti non ne ha.
A volte è solo questione di tempi, quelli che spesso, da genitori e da insegnanti, non siamo sempre disposti a considerare.

E sempre davanti allo specchio, parliamo di crescita e formazione della persona.

Qui siamo su un altro livello, quello che dovrebbe essere ancora più impegnativo per noi adulti responsabili. Quello che poi dovrebbe darci il bonus di vederli crescere per il verso giusto. Ah, che poi la vita chissà che conto gli presenta, ma l’impegno dobbiamo comunque metterlo. Un impegno che stanca e sfinisce, che si rinnova a volte minuto per minuto, ma che non ci è permesso di mollare.

I bambini non crescono in mezzo agli altri solo stando in mezzo agli altri.

Noi maestre ce ne accorgiamo a ricreazione, quando invece di prendere il caffé (perché ormai ce lo prendiamo di straforo quando sono tutti seduti al lavoro… eh eh, almeno non rischiamo di tirarlo al muro ogni 2 per 3 tra corse, giri di valzer e gol con le palline di stagnola) ci mettiamo ad osservare le dinamiche relazionali, i comportamenti che a volte permangono e a volte cambiano.
Ci chiediamo in entrambi i casi il motivo e poi parliamo con le nostre piccole, grandi persone. A volte capita di comprendere, a volte no.
Capita di mettere uno stop fermo, di ferro.
A volte capita e fa male, quel male che te lo porti a casa e il giorno dopo torni a riparlarne.
In pratica, quello che voglio dire è che noi adulti abbiamo da fare e dato che siamo in ballo dobbiamo ballare.
Aiutare i nostri bambini a vivere in mezzo agli altri in modo civile (non pacifico, ma civile) e a rialzarsi dopo una sconfitta, avendo il coraggio di guardare mentre non ce la fanno, ma aspettare, capire, tendere la mano. Dopo. Non prima.
Tutto questo lo sto dicendo a me, per prima, mamma e insegnante che non ha le chiavi di nulla, ma impara.
La scuola, in questo, è una bella scuola, dovreste provare.

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