Ultima modifica 14 Ottobre 2019

Sembrava una bella notizia, fin troppo bella da sembrare finta, quella dell’annuncio che sta facendo il giro del mondo: A.A.A. Cercasi donatori di coccole per bambini.

L’appello, pluri cliccato sul web, arriva dall’America dove si cercano volontari disponibili a fornire, oltre alla semplice compagnia, anche un vero e proprio contatto fisico per tutti quei bambini che sono in attesa di adozione e vivono temporaneamente nelle case famiglia o istituti.

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Fin qui tutto bene, perchè è sicuramente una bella iniziativa quella di coinvolgere le persone, spesso anche i ragazzi, a donare un contributo affettivo, materiale e non solo economico come invece spesso avviene, a dimostrazione che “non di solo pane vive l’uomo”.

Tuttavia, pare però che alcune agenzie vadano oltre il semplice servizio di compagnia, gioco, divertimento e intrattenimento, fornendo addirittura donne disponibili all’allattamento, introducendo di fatto nuovamente la figura della Balia.

Ma facciamo un passo indietro per ricostruire le fila del discorso.

Appena qualche settimana fa avevo scritto un articolo su “l’utero in affitto” pensando che era davvero l’ultima frontiera della fantasia e invece, purtroppo, il business della maternità torna di nuovo sul mercato con una nuova offerta.

E così, una volta creato, partorito e acquistato il bambino resta il problema di porre rimedio ai suoi bisogni vitali, primo fra tutti quello dell’allattamento.

Infatti, secondo le regole del contratto, la madre in affitto dopo il parto non ha più rapporti con il bambino che, con il taglio del cordone ombelicale recide ogni legame con la partoriente, eccetto in determinati casi, cioè quando la madre surrogata è legata da vincoli di parentela con la madre beneficiaria.

E allora, proprio come avveniva ai tempi delle favole, tornano di moda le balie.

La pratica già diffusa negli Stati Uniti sta prendendo piede anche in Europa dove sono state costituite per l’appunto vere e proprie agenzie di servizi che mettono a disposizione donne per allattare i bambini altrui.

La vicenda è talmente incredibile che merita di essere riassunta.

Insomma, per ricapitolare, il bambino oggetto del contratto, viene commissionato da una coppia, partorito da una donna con la quale non avrà più rapporti per tutta la vita, e allattato da una terza persona.

Ora, tralasciando la questione economica, poiché immagino che tale procedura sia tutt’altro che parsimoniosa per la coppia acquirente, mi chiedo in definitiva se sia possibile, al termine di tutta questa trafila, poter chiamare il bambino “mio figlio” !?.

Alessia Maria di Biase 

La redazione del magazine. Nato nel maggio 2013, da marzo 2015, testata registrata al tribunale di Milano. Mamme di idee rigorosamente diverse commentano le notizie dell'Italia e del mondo, non solo mammesche.

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