Ultima modifica 18 Giugno 2018


C’erano una volta le diapositive, con cui intrattenere amici, parenti e conoscenti al ritorno dalle vacanze.
Poi venne Facebook, e il costume di rendere pubblici i fatti propri si propagò a macchia d’olio.
Che si tratti di lieti o tristi eventi, nascite o morti poco importa: tutto –ma proprio tutto- viene condiviso.

Nel week-end, per dire, all’interno di un gruppo per sole mamme, ho visto condividere una foto di un bimbo in un letto d’ospedale, con tanto di flebo attaccata: come se non bastassero le parole per ricevere un conforto alle proprie preoccupazioni di mamma.
E ancora, una mamma che chiede un consiglio su cosa fare nel caso in cui il sospetto di una gravidanza indesiderata diventasse una realtà concreta.

Ci sono cose che –a parer mio- è opportuno condividere sui social network, e altre che non lo sono.
Non è questione della tanto sbandierata (e tuttavia regolarmente ignorata) netiquette: è questione di buonsenso.
Con le pinze e altrettanto buonsenso andrebbero prese le storie pubblicate su Facebook. Perché ultimamente i social network servono a una cosa sola: ridicolizzare e screditare le persone.

Così, anche se Massimo Di Cataldo si impegnerà per i prossimi trent’anni nella lotta contro la violenza contro le donne, verrà ricordato per sempre come un manesco che ha fatto abortire la compagna. Poco importa se questa storia non è vera.
Perché su Facebook, e su internet in generale, tutto è scritto a penna, nulla si cancella.
Le foto della presunta violenza, vere o false che siano, valgono più di qualunque sentenza di tribunale, e quella donna ha ottenuto quello che cercava: screditare per sempre il suo (ex?) compagno agli occhi del popolo.

Personalmente, se venissi picchiata dal mio partner, prenderei e andrei in ospedale e dai carabinieri. Dubito che mi fotograferei in stile Rihanna, per poi pubblicare il tutto su un social network.

Ma il mondo è bello perché è vario, e la condanna è già stata promulgata.

 

Sara Evangelisti

 

La redazione del magazine. Nato nel maggio 2013, da marzo 2015, testata registrata al tribunale di Milano. Mamme di idee rigorosamente diverse commentano le notizie dell'Italia e del mondo, non solo mammesche.

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