Ultima modifica 10 Ottobre 2019

La festa del lavoro: in un paese di stampo comunista come la PRC, ti aspetteresti grandi festeggiamenti, bandiere rosse, negozi chiusi. Invece si tratta di una giornata come un’altra per fare affari: i negozianti alzano la serranda alle nove di mattina e la chiudono alle nove di sera come ogni giorno. Davvero stupisce come le attività in Cina siano aperte sette giorni su sette, dodici ore su ventiquattro: in bottega si mangia, si fa la pennichella dietro il banco, si portano i bambini quando è giorno di festa e  non ci sono nonni disponibili a tenerli. I cinesi non affrontano bene ritmi di lavoro stressanti, ma sulla lunga distanza non li batte nessuno!bandieracinese

È anche curioso il loro modo di affrontare la piccola imprenditoria: nei neighborhood center (piccoli centri commerciali di quartiere) o nei shopping mall i negozi sorgono come funghi, per poi magari chiudere dopo un mese. Ma non potevano pensare prima se il business reggeva oppure no? Magari se ci ragionavano un poco su si rendevano conto che aprire un negozio tematico sui gadget di Hello Kitty non ti permette di scavare fuori uno stipendio…
Però tutti sono alla ricerca della ricchezza: come ho avuto modo di dire spesso su queste pagine, il denaro è il motore che muove le scelte dei cinesi moderni. E in un certo qual modo anche la posizione, intesa come satus symbol. Dopotutto l’accattivante espressione “sogno cinese”, coniata dall’attuale presidente della PRC, riguarda un’aspirazione prettamente materiale: il sogno che ogni cinese possa raggiungere la sicurezza economica, possedere i beni di primaria (e, perché no, anche di secondaria) necessità, provvedere all’educazione dei figli. Se poi per raggiungere questo la famiglia si spacca, i bimbi vanno a vivere coi nonni nelle campagne mentre i genitori lavorano nelle città dodici ore al dì, senza mai un giorno di festa, non ha importanza.

Credo che questo atteggiamento sia comprensibile in una popolazione che fino a pochi decenni fa aveva seri problemi anche a procurarsi il cibo quotidiano ed è loro sacrosanto diritto aspirare ad un futuro di sicurezza materiale, forse è un po’ quello che è successo a noi italiani dal dopoguerra fino agli anni ottanta. Ma nello stesso tempo spero che le prossime generazioni di cinesi possano riscoprire anche altri tipi di valori, che si rendano conto (soprattutto i giovani) che correre come matti senza uno scopo profondo non può dare veramente sapore alla vita. Forse noi italiani lo stiamo riscoprendo a causa della crisi, siamo costretti a rivalutare l’importanza dei soldi perché adesso scarseggiano. O forse fa semplicemente parte dell’evoluzione delle società, non sono una sociologa e non mi arrischio ad analisi più grandi di me!

I più fortunati, come quelli che lavorano per lo stato (ebbene sì: anche in Cina lo “statale” viene considerato un lavoratore privilegiato) o per le grosse imprese locali o straniere, hanno trascorso un primo maggio di vacanza, regalandosi una passeggiata sul lago JinJi, facendo volare gli aquiloni e gustandosi un gelato comprato nel camioncino itinerante. Per gli altri un giorno normale di lavoro, qualche altro soldino  da metter via e far fruttare come brave formichine, un mattoncino in più per costruirsi la tanto agognata sicurezza.

Antonella Moretti

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