Ultima modifica 21 Aprile 2021

Quando si parla di questioni LGBT (e ormai, care mamme, sono sicura che saprete esattamente cosa vuol dire – e sono fiera di voi!) una delle prime cose che saltano alla mente è il Pride. Vuoi perché, per anni, i Pride sono stati l’unica occasione in cui certi argomenti arrivavano in televisione o sui giornali, vuoi perché, ormai, i Pride si tengono in molte città in tutta Italia. Fatto sta che hanno finito, in qualche modo, per diventare il biglietto da visita di un’intera comunità.

E spesso proprio dai Pride nascono le obiezioni: c’è chi propone di sfilare in giacca e cravatta e chi propone di non sfilare proprio – mai nessuno, però, che spieghi cos’è, il Pride, e come nasce. Ma sono qui apposta, no?

1969, New York: l’omosessualità veniva ancora ritenuta una malattia mentale e addirittura l’FBI schedava gay, lesbiche e persino i loro amici. L’abbigliamento non conforme al proprio genere era fuori legge e c’erano pochissimi posti in cui poter essere se stessi. Uno di questi posti era lo Stonewall, un locale nel Greenwich Village in cui si ritrovavano drag queen, persone transgender, ragazzi gay rimasti senza una casa. La polizia spesso irrompeva nel locale.

Successe anche nella notte tra il 27 e il 28 giugno, ma questa volta i frequentatori dello Stonewall si ribellarono. Leggenda vuole che, a lanciare la bottiglia ai poliziotti che diede il via a due giorni di rivolte – ormai noti come moti di Stonewall –, sia stata Sylvia Rivera, una donna transgender di origini portoricane e venezuelane. Fu l’inizio di un cambiamento che portò alla nascita del Movimento di liberazione gay e, l’anno successivo, a quello che viene considerato il primo Pride: una marcia dal Greenwich Village a Central Park.

stonewall

Quest’anno sono stata al mio primo Pride con i ragazzi di Progetto Prisma, un laboratorio sulle tematiche LGBT nato grazie a una collaborazione con la Rete degli Universitari di Bologna. Quando ho iniziato a scrivere questo articolo ho pensato che sarebbe stato bello raccontarvelo, per farvi capire cos’è, ma mica è così facile. Perché ho iniziato a sentirmi un groppo enorme in gola dall’emozione non appena siamo arrivati al punto di partenza e ci siamo infilati nella musica, tra volti sorridenti e capelli più colorati dei miei (e meno male che con me c’erano Antonella e Serena di Uguali per Legge che mi dicevano nell’orecchio cose bellissime). Perché il groppo enorme in gola si è sciolto quando ho visto una ragazzetta giovanissima con in mano un cartello con cui ringraziava Sylvia Rivera. Perché ho passato il tempo a incontrare persone che non vedevo da tempo e ad abbracciarle: le mamme Agedo (l’associazione dei genitori di persone omosessuali), i ragazzi del MIT (che non è il Massachusetts Institute of Technology ma il Movimento Identità Transessuale) e quelli del Telefono Amico Gay Lesbico Bologna, Nino di RenBooks e le incredibili ragazze di BProud, con cui ho sfilato e scattato la foto più bella della giornata.

pride-bologna-bproud

Non si riescono mica a spiegare delle emozioni così – perché le emozioni sono fatte di persone, di abbracci, di risate, di storie: e il Pride, il mio Pride, in fondo è anche un po’ questo. E allora ho pensato che queste persone, con le loro storie, ve le voglio presentare tutte. Per farvi partecipare, seppure virtualmente, a questa meravigliosa parata. Per farvi sentire quello che ho sentito io: la forza e la bellezza dell’autenticità, dell’essere se stessi in un mondo in cui, sempre più persone, indossano una maschera.

Psicologa e traduttrice. Coordino il progetto Le cose cambiano, rivolto agli adolescenti LGBT e collaboro con Diversity, l'associazione di Francesca Vecchioni. Co-mamma del Progetto Prisma e di #unamicoinpiù.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here