Ultima modifica 10 Novembre 2015
Si dice che chi sbaglia paga, ma se è lo Stato italiano a sbagliare … quasi mai è così.
Il piccolo Palazzolo nasce a Terrasini in provincia di Palermo nel febbraio del 2000. Un bimbo sano, una gioia per gli occhi. Una famiglia felice, al culmine della gioia per un momento tra i più importanti della vita.
E di vita si parla, visto che è stata gravemente compromessa da chi invece dovrebbe tutelarla.
Come tutti i neonati italiani, è obbligato a sottoporsi alle vaccinazioni anti difterite, tetano e pertosse.
L’iter inizia dopo tre mesi, fino all’anno di età, nel febbraio del 2001.
Qualcosa però non funziona come deve e il piccolo dopo le vaccinazioni accusa convulsioni e febbre. Viene ricoverato, tenuto sotto osservazione dal pediatra e dal consultorio dove ha eseguito le vaccinazioni e tutti consigliano ai genitori di proseguire il protocollo previsto per le stesse, fino al 2004.
Ma i genitori del piccolo capiscono che la salute del bambino è compromessa da gravi regressioni.
Una visita presso un neuropsichiatra rivela quanto sospettato e la diagnosi è tremenda, un macigno: gravissimo deficit cognitivo, con sintomi identici all’autismo.
Possiamo solo immaginare quello che questi genitori devono avere provato. Il mondo non è più lo stesso. La pelle strappata dal dolore e “riappiccicata” addosso per dovere di sopravvivenza e per chiedere giustizia.
Dopo innumerevoli indagini cliniche e nottate a studiare su alcuni siti americani, i coniugi Palazzolo capiscono che la causa del deficit diagnosticato, sono proprio le vaccinazioni obbligatorie imposte dallo Stato e decidono di appellarsi alla legge 210 del 1992 per ottenere almeno un risarcimento e un po’ di chiarezza, in quella vita che di chiaro ormai ha ben poco.
Quando finalmente il Consiglio di Stato sentenzia che c’è un nesso tra la somministrazione dei vaccini e la terribile sorte capitata al bimbo, i coniugi Palazzolo pensano di avere vinto.
Ma non è così. Non proprio. Perché da quel momento inizia il solito balletto, il solito pasticcio burocratico italiano.
In un primo momento l’indennizzo viene negato perché la domanda non è stata presentata entro tre anni dal fatto.
In un secondo tempo, di questo che sembra un incubo degno di un romanzo kafkiano, grazie all’intervento del Movimento 5 stelle che presentò un’interrogazione alla Camera dei Deputati, una sentenza del settembre del 2001 decide di risarcire… ma solo i casi presentati dopo tale data, senza possibilità di revisione di tutti i casi precedenti.
Quindi la famiglia Palazzolo si sente di nuovo abbandonata. Dopo dodici anni di calvario burocratico e psicologico.
Come andrà a finire? Con quale fiducia possiamo affidare noi ed i nostri figli alle strutture preposte?
Abbiamo finito le parole, ci restano solo le parolacce e tanta solidarietà alla famiglia Palazzolo e a tutte le famiglie in queste condizioni.
Michela Cortesi