Ultima modifica 10 Ottobre 2019

Scuola, dovunque ci si trovi a vivere diventa un argomento importante e una costante nella vita dei nostri figli. Anche per noi la scuola in Giappone è argomento di riflessione.

Andare a vivere in un altro paese richiede, come potete immaginare, una bella dose di buona volontà e un gran spirito di adattamento. Questo per quanto riguarda la vita di tutti i giorni.

Ma quando si tratta delle questioni di scuola, viene richiesto quasi sempre un maggior livello di comprensione agli stranieri.

Mio figlio sta frequentando ancora l’asilo, comincerà la scuola elementare tra un anno, nella prossima primavera (non so se ricordate, la scuola in Giappone comincia in aprile).

La mia esperienza di scuola in Giappone, per il momento, è limitata all’asilo.

L’asilo rimane comunque un “mondo a parte”, sia per la sua natura di istituzione privata (non abbiamo scelto l’asilo pubblico, e siamo comunque soddisfatti nonostante le spese per uniformi e materiali) che per il numero limitato di studenti che lo frequentano (pur essendo un asilo privato, si trova in una zona di campagna e i bambini nelle varie classi non sono poi così tanti).

Per quanto ho potuto vedere fin’ora, l’insegnante di asilo è una figura materna e accomodante. Il suo ruolo fondamentale è quello di trasformare dei piccoli “amore di mamma” (il modo con cui chiamo mio figlio quando esagera in qualche modo) in bambini capaci di cavarsela da soli lontano dall’ambiente familiare. L’insegnante di asilo ha diversi modi per svolgere il suo lavoro. Alcuni sono decisamente simpatici, giocano e si divertono con i bambini e (grazie a questa complicità) riescono a indirizzarli nella direzione giusta. Altri, invece, sono di “vecchio stampo” e preferiscono mantenere una certa rigidità anche nei momenti di gioco.

In ogni caso, tutti gli insegnanti (indipendentemente dal loro modo di fare) sono determinati e non lasciano passare facilmente le trasgressioni nei momenti in cui richiedono impegno agli studenti. Perchè, se voi non sapete, qui in Giappone si comincia a studiare fin dall’asilo.


Si si, so che anche in Italia sono previsti dei momenti di studio all’asilo, ma vi posso dire che qui la scuola in Giappone, per quel che riguarda la giornata all’asilo, è regolata in modo da prevedere una o più lezioni e dei momenti di gioco.

I bambini si adattano, anche se devono frenare il loro slancio e non giocare se non quando viene detto loro di farlo. Ma quasi sempre imparano a rispettare gli orari.

Il rapporto che gli insegnanti instaurano coi bambini all’asilo non mi dispiace. Anche se si nota facilmente una certa rigidità di fondo che impedisce di mostrare tutto quel calore a cui l’Italia ci ha abituati fin da piccoli. Ma in ogni caso va bene così, i bambini sono contenti e per me questo può bastare.

Parlando degli altri ordini di scuola in Giappone, per ora non ho ancora esperienza diretta.

Da quanto mi dice una signora con cui faccio lezione, il nipote (che ha appena finito le scuole medie) si lamenta spesso della rigidità degli insegnanti, della mancanza di empatia e della noiosità delle ore di lezione a scuola. In base a questo ritratto gli insegnanti diventano dei semplici esecutori materiali. Assegnano compiti e illustrano brevemente le cose da fare in classe. Sparisce quasi sempre la comprensione e si allontanano dagli studenti privilegiando le verifiche scritte e annullando quasi completamente gli orali. Cambiano anche i rapporti fra i compagni di scuola. Il numero degli studenti nella classe aumenta (arrivando fino a trenta-quaranta) e pian piano sparisce il concetto di “gruppo-classe”, che viene sostituito dall’individualità, da gruppi di amicizie più ristretti e non più legati alle attività in classe.

Per quanto riguarda l’ambiente universitario, nel mio piccolo, posso portare la mia esperienza di cinque anni.

Gli studenti sono rispettosi e attenti, il mio piccolo corso di italiano non è obbligatorio, rientra fra gli esami del primo anno e, a quanto sembra, gode di una certa popolarità fra gli studenti (gli iscritti di quest’anno sono circa quaranta). I ragazzi seguono con attenzione, partecipano e mostrano apprezzamento. Mi parlano, comunicano sia cose essenziali che altre marginali. Quest’anno ho avuto anche la gioia di incontrare una ragazza che ormai aveva finito di studiare, e che mi ha detto che il corso di italiano era stato il suo preferito. Rimane il dubbio che gli studenti interagiscano tanto perchè io comunico con loro. Ma nel caso dell’ambiente universitario non posso davvero avventurarmi in speculazioni che riguardano il comportamento in classe dei miei colleghi, o il loro rapporto con gli studenti. Anzi, da quanto vedo ogni volta che partecipo alle cerimonie di laurea, studenti e insegnanti sembrano parecchio affiatati…

Ma forse dipenderà dalla particolare natura dell’università per cui lavoro. Un posto che ospita artisti di vario tipo, e giovani di talento che vogliono intraprendere la stessa strada, non può davvero ridursi al conformismo. Chissà come funziona nelle altre università?

Per concludere, il rapporto fra gli insegnanti e gli studenti di scuola in Giappone per me rimane ancora un mistero.

Posso soltanto azzardare delle ipotesi in base alla mia esperienza, ma so bene che questa non può essere considerata inattaccabile. Personalmente vorrei che ci fosse maggiore empatia, o almeno la volontà da parte dei professori di compiere un passo avanti in direzione degli studenti (non bisogna dimenticare che il carico di lavoro che viene a pesare sulle spalle di ogni singolo studente è notevole e per alcuni di loro può risultare eccessivo). Speriamo che le cose cambino in fretta!!

Vivo in Giappone dove insegno agli adulti che vogliono imparare la mia lingua, mi sono sposata e, quattro anni fa, è arrivato il nostro piccolino. Dopo di lui sono arrivate pure delle soddisfazioni sul lavoro, e ho cominciato a lavorare per un'università della zona in cui vivo.

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