Dipendenza da videogiochi, una malattia vera e propria

Ultima modifica 27 Giugno 2018

La dipendenza da videogiochi adesso è una malattia ufficiale. Lo dice l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che l’ha inclusa nell’International Classification of Diseases (ICD).

Dipendenza da videogiochi, una malattia da non sottovalutare.

dipendenza da videogiochi

In principio era la ludopatia, una sindrome a cui andavano incontro le persone “malate” del gioco in generale. Ne abbiamo avuto nel tempo esempi eccellenti. Personaggi famosi e vips che hanno perso intere fortune giocando ai tavoli dei casinò, alle macchinette, o nelle case con gli amici del poker.

La dipendenza da videogiochi, se vuoi, è ancora più subdola. Perché non è neanche necessario spostarsi da casa. Non serve (diciamo) avere a disposizione un conto corrente, basta una carta regalo di game stop. E soprattutto colpisce le persone che ci stanno più a cuore. I più deboli e indifesi. I nostri figli.

L’Oms ha riconosciuto la dipendenza da videogiochi come una vera e propria patologia.

dipendenza da videogiochi

Un disordine mentale. E l’ha inserita in una lista tra altre 55mila malattie.
È “una serie di comportamenti persistenti o ricorrenti che prendono il sopravvento sugli altri interessi della vita”.

Scopo di tale riconoscimento è ovviamente la possibilità di dare giusta attenzione al problema garantendo interventi specifici, opportune terapie e in ultimo la possibilità (soprattutto in stati come l’America) di essere inclusa in polizze assicurative.

La dipendenza da videogiochi diventa tale quando causa una compromissione significativa in ambito personale, sociale, familiare, educativo e professionale.

Una vera e propria dipendenza dicono gli esperti.
Un gioco di movimenti monotoni e ripetitivi che alienano la personalità del giocatore, e al contempo ne condizionano la dipendenza promettendo vittorie e ricompense.
E qui entra in gioco il cervello. Perché, come spiega Cherubino Di Lorenzo, neurologo presso il Centro cefalee dell’Istituto neurotraumatologico italiano (Ini) a Skytg24, “I videogiochi  stimolano i circuiti del cosiddetto reward, cioè della ricompensa…
I ragazzini facendo questi giochi monotoni e ripetitivi, spesso con musiche ipnotiche e stimolazioni luminose intermittenti, riescono ad alienarsi e a ottenere delle micro-ricompense che instaurano la dipendenza”.

Dei veri e propri traumi neurologici,
nei casi più gravi.

Che rischiano di sfociare in stati di ansia, perdita di sonno e fame, fino a vere e proprie crisi epilettiche. Oltre ai mal di testa dovuti alla protratta esposizione al videogioco.

La decisione dell’Oms non è solo volta al riconoscimento della patologia, quanto alla sensibilizzazione delle case produttrici di videogiochi, affinchè valutino attentamente le conseguenze di questi prodotti in commercio sulla salute dei minori.

Case produttrici che al momento contestano la decisione.

In Italia ad esempio, il direttore generale Aesvi (associazione italiana di categoria dell’industria dei videogiochi) thalita Malagò replica: i videogiochi vengono usati nel mondo in modo appropriato e sicuro.

Insomma per loro il pericolo non esiste.

Da mamma e non da esperta non sono così sicura.

dipendenza da videogiochi

Ogni giorno vedo i miei figli affamati di videogiochi. E loro sono già grandicelli. Il peggio è quando le “vittime” di questi giochi sono bimbi ancora più piccoli.

Imbambolati davanti a questi monitor. Da soli o in compagnia virtuale. E hai voglia a dare divieti e restrizioni. Loro il modo di piazzarsi lì davanti lo trovano sempre. Una distrazione, un impegno del genitore di turno, ed eccoli lì. Pronti con cuffie e microfono con quei joystick che sparano.

Che poi ‘sti giochi che mettono in commercio sono tutti violenti e pieni di parolacce. Mai che ci fosse un gioco educativo o che istiga alla pace e all’amore.

Che fare per evitare questa dipendenza da videogiochi?

Si dovrebbe praticamente affiancare i figli per tutto il loro tempo libero. Cercare un’alternativa al piacere di star lì davanti. Ma non è sempre facile.

Oppure responsabilizzarli al punto da far loro trovare un momento nel quale smettere.

Se invece, come fanno alcune case automobilistiche, questi produttori di videogiochi, con tutta la tecnologia a loro disposizione, riuscissero a trovare un “auto-limitante” ai videogiochi (chessò un controllo da remoto che dopo un tot di minuti fa spegnere la consolle) molte mamme ringrazierebbero.

E in futuro gli stessi figli.

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