Vi siete mai soffermate sulla composizione dei würstel?

Ultima modifica 3 Marzo 2020

Capire veramente, fino in fondo, le etichette degli alimenti che si comprano al supermercato non è una cosa sempre facile.
Ci sono poi delle diciture che non sembrano nemmeno tanto pericolose (come lo sono invece il nome di certi dolcificanti, coloranti o conservanti) e che non destano nemmeno l’attenzione che dovrebbero.composizione dei würstel

L’esempio lampante è dato dalla scritta “carne separata meccanicamente” che compare in alcune famosissime marche di wurstel di pollo che si trovano al supermercato.

Ma cosa significa veramente?

In verità questo ingrediente, che rappresenta un’altissima percentuale del totale, racchiude un sottoprodotto ottenuto dalla macellazione delle carcasse. Insomma si piglia un pollo, si eliminano petto e cosce, si scartano pelle, ossa e zampe e poi si pressa e si tritura quello che rimane. Viene ottenuta così una poltiglia rosa che opportunamente aromatizzata, addizionata di conservanti e coloranti arriva alle nostre tavole.

Non solo sotto forma di wurstel, ma anche in altre preparazioni come cotolette già pronte o lavorazioni simili. Questo tipo di prodotto rappresenta una grande risorsa per le aziende, visto che ha costi contenuti e permette di ottimizzare l’uso della materia prima. In termine di salute comunque qualche dubbio sorge spontaneo.

Possibile che queste materie possano circolare, senza nessun problema, nel banco frigo?

Quanti danni per la salute possiamo arrecare alla nostra famiglia con l’uso sistematico di prodotti di questo tipo?
Facile fare del moralismo, con il costo della vita che aumenta e quando ci si ritrova a dover fare la spesa settimanale con poco più di 50 euro. Far quadrare i conti è quasi un’impresa da acrobati, ma non possiamo farlo a spese della nostra stessa salute o peggio ancora quella dei nostri figli.

Il mio maschietto di casa è un attento consumatore di hot dog.

Li ama e li adora, non c’è niente da fare.
Per questo mi ostino a pensare che sia un ragazzo da grandi città, stile New York, con i baracchini che te li offrono a ogni angolo della strada.
Vista questa sua passione, lo lascio libero di ordinarli quando usciamo a cena, come se fosse un pasto da Re.
Sapere però che potrebbero essere fatti con poltiglia di questo tipo mi fa veramente rabbrividire.

D’impulso, per contrapposizione, tutto questo mi fa pensare a quando i miei genitori macellavano la carne, insieme agli zii e ai nonni. Non vorrei far inorridire ora i vegani che mi leggono, ma questa immagine fa parte della mia infanzia di bambina e mi ricorda i pomeriggi ad aiutare in casa, in un rituale domestico, senza nessuna cognizione del problema etico che mamma e papà non si ponevano quella volta e non si pongono tuttora sicuramente.
In quella circostanza c’era una semplice e lucida consapevolezza di quale tipo di materia prima fosse utilizzata e mangiare carne significava cibarsi degli animali che erano stati allevati in casa.

Mi piacerebbe tornare alla semplicità di un tempo, in cui non c’era questo fittizio benessere, ma in cui si poteva produrre nella piccola realtà domestica quello che serviva alla famiglia intera, anche con i prodotti freschi dell’orto.

Forse quella semplicità era la nostra vera ricchezza e l’investimento migliore per la nostra salute. L’unica cosa che possiamo fare oggi è evitare di comperare prodotti dalla dubbia provenienza (orecchie bene alzate, mi raccomando!) e di organizzarci nel nostro piccolo per quanto ci è possibile.

Autoproduzione e downshifting sono le nuove parole che sono entrate di gran forza nel mio vocabolario.
Provateci anche voi!

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