Ultima modifica 28 Aprile 2021

È ormai di qualche settimana fa la dichiarazione di un Ministro del nostro attuale Governo che accarezzava la possibilità di reintrodurre la Leva Militare Obbligatoria.
Questo affinché i ragazzi possano “imparare un po’ di educazione che mamma e papà forse non sono riusciti ad insegnare” (trovate la dichiarazione in questo video).
Ho deciso di scriverne solo ora perché, per tutto questo tempo e pur con in testa l’idea di proporre la mia opinione, mi sono ripetuto ad libitum come un mantra una regola fondamentale prima di appoggiare le dita sulla tastiera.

Questo articolo non ha nulla di politico.
L’articolo non ha nulla di politico.
Nulla di politico.

Non ho nessuna intenzione, infatti, di commentare né la provenienza di questa frase né il sottointeso che la famiglia non sarebbe educante nei confronti delle nuove generazioni.

Militare educativo? No, grazie.

Il fatto è che la struttura militare non ha nel suo DNA nulla di educativo.
E’ un’istituzione basata sull’ubbidienza e sul conformarsi ad un modus operandi che sia comune a tutti i suoi appartenenti altrimenti la sua efficacia e il suo significato sparirebbero immediatamente.

Che tradotto in parole povere significa: tu soldato devi ubbidire a chi sta sopra di te nella scala gerarchica e devi fare il tuo dovere altrimenti tutto si sgretola.

Da qui il termine specifico “addestramento”.

Che non significa sminuire l’importanza delle forze dell’ordine o dell’esercito, anzi. Semplicemente sono strutture che per funzionare devono agire su determinati cardini per produrre i risultati che si vuole ottenere. E nella complessità del mondo moderno è assolutamente necessario che queste organizzazioni siano il più professionale possibile.

militare educativo

L’educazione, di contro, è esattamente l’opposto.

Educativo è ciò che riesce a sviluppare l’individuo e il suo senso di responsabilità, attivando e rinforzando le sue risorse, le sue capacità e competenze, la sua intelligenza.
Per attivare un processo educativo è necessario l’incontro tra un educatore e un educando e che questa relazione sia guidata dall’intenzionalità non tanto di “insegnare” quanto – appunto – di “trarre fuori” (ex-ducere) ciò che l’educando ha già in sé in forma embrionale.

Non è utile, quindi, riesumare strumenti
del passato per contrastare l’emergenza educativa odierna.

Strumenti che certamente, decenni fa, possono anche aver avuto un senso esperienziale importante perché offrivano l’occasione a persone che non conoscevano nulla oltre il proprio paese e il proprio circondario di relazioni di ampliare i loro orizzonti, di allontanarsi da casa e confrontarsi con altri mondi e da questi apprendere.
Ma era un’esperienza di autoformazione. Come oggi lo possono essere i viaggi, gli scambi culturali, il progetto Erasmus, il passaggio dalla scuola media al liceo. Situazioni in cui una persona sceglie (o ha l’opportunità) di fare esperienze differenti da quelle che normalmente vive per auto-apprendere qualcosa che potrebbe essergli utile.

L’emergenza educativa c’è (anche se perfino su questo punto potremmo spendere molte parole perché si tende sempre a vedere ciò che di negativo esiste nella società mentre ciò che è positivo difficilmente viene notato o raccontato) ma non è risolvibile con uno strumento che, appunto, non è educativo.

È la società che ha il compito di affrontare l’importante compito di crescere i giovani.

La società intesa come insieme di interrelazioni tra micro e macro sistemi sociali.
Le agenzie educative (formali e informali) esistono già e sono la famiglia (assolutamente in primis), la scuola, gli oratori, le società sportive, i gruppi dei pari, le associazioni di volontariato, i media.
Occorrerebbe però che tutte queste agenzie educative fossero sostenute e, possibilmente, coordinate tra loro perché possano trasformarsi in un vero “villaggio (globale) educante”.

Questa sarebbe la vera sfida.

Per crescere un bambino
ci vuole un intero villaggio

(Proverbio africano)

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