Scuola: fondamentale sapere cosa dire e come dirlo

Ultima modifica 17 Giugno 2023

Quanto è difficile parlare e quanto è semplice far le chiacchiere?
Il dilemma di oggi, a partire dalla scuola.
A far le chiacchiere siamo tutti esperti, ma, a saper riferire su un argomento specifico, la faccia da baccalà incombe.
E’ un po’ la tragedia, neanche tanto sommersa, del nostro tempo con la quale si combatte quotidianamente anche a scuola, che fa massa con la carenza lessicale nostra e dei nostri figli.
Il flash di conoscenza 10aprile2019fotografatoilbuconerooo, ci sembra un appropriarci di un alto momento di conoscenza scientifica…ma non lo è.

 

buco nero

Accumulare flash lascia confusione e superficialità: cos’è un buco nero, come si forma, quanti ne abbiamo di conosciuti, è una vera foto?

Ecco, rispondendo a tutte queste domande potremmo avere una consapevolezza minima e sufficiente. Altrimenti non serve, perché se la conoscenza non viene fissata in una rete, collocata cronologicamente e all’interno di un processo scientifico, politico o anche sociale, rischiamo appunto la famosa faccia da baccalà.

Capita che se,  inconsapevolmente, in un discorso esce fuori tutta la superficialità “visto che sai, dimmi anche il resto”, prima si impappinano, poi si inquietano ed infine ti fanno pure passare per maestrina: ma, cavolo, parla di ciò che sai, che facciamo prima di subito, no?
Oggi per fortuna ci salva il nascondiglio del profilo fb, magari pure col nome di Paperonero o Nasoorsocapo… Per fortuna.

E’ che ogni volta che si conosce “la cosa”, bisognerebbe farci una mappina: perché, dove, quando, cause e conseguenze.

Invece a volte non si conosce nemmeno  “la cosa” in sé.

La conoscenza è ben altro: la conoscenza è ciò che resta quando hai dimenticato tutto.
Cosa vuol dire?
Che nella nostra mente, dopo tanto studiare, non resta il paradigma del verbo greco, ma le radici provenienti dalle parole di quella lingua che risuonano in ogni area della conoscenza.
‘Mo tutto tutto dobbiamo conoscere a fondo?
No, “poco ma buono” racchiude una grande saggezza… che poi ti consiglia, per contrasto,  “sta zitto quando non sai”.

I bambini vanno aiutati a capire che “la mappina” è indispensabile, prima di parlare.

Anche della formazione del Milan, perché crearsi un discorso organico in testa vuol dire tanto; vuol dire conoscere profondamente e ricordare.
Ogni giorno i bambini ci ricordano quanto sia difficile farlo, schivando il fluido parlare e chiedendo domande, in modo da evitare elegantemente il famoso “discorsetto”.
Ma noi insistiamo. Non vogliamo che in testa abbiano fuochi d’artificio, ma reti che intrappoleranno via via sempre più conoscenze, collegate tra loro.

leggere ai bambini

E’ difficile, ma il facile non ha mai pagato nessuno e non ci arrendiamo, perché il rischio è che si perdano nel mare di chi blatera senza senso.

Anche un comico o un rapper studiano le loro parti, la loro lingua, cercano dettagli, sinonimi, collegamenti. Il mondo alla fine, “spesso”, premia chi sa di più e bene.

Ma, dopo la sostanza, parliamo anche di come esprimersi.
Qualche giorno fa ho letto su Wired un pezzo sconvolgente.
Uno stralcio dal pezzo che potete leggere qui:
“Basti pensare che se gli adulti che leggono circa 5 libricini al giorno ai loro figli già in età prescolare, nei loro primi 5 anni di vita, i bambini arrivano alle scuole elementari avendo ascoltato quasi 1,5 milioni di vocaboli in più rispetto ai piccoli la cui famiglia non è abituata a leggere loro nessun testo.”

Sapevo che leggere è fondamentale, ma la quantificazione del vantaggio mi ha spettinato.

Cioè se io leggo a mio figlio, lui ci guadagna un bel po’: non è questione di favolette, è questione di saper parlare.
Conoscere un milione di parole o meno di cinquemila fa la sua differenza quando ascolto e quando riferisco: sia in entrata che in uscita.
Questo mi sembra evidente.

leggere ai bambini

Più leggiamo e parliamo ai nostri figli, più per loro sarà facile capire il mondo ed esprimerlo.

E non ci nascondiamo dietro al tempo: anche una babysitter, una zia, una nonna o un nonno sono capaci di leggere storie.
Mia mamma lavorava in biblioteca: certe fortune sono evidenti, lo ammetto; ma, quando avevo la febbre, era mio nonno a leggermi mille favole.

A questo proposito ultimo consiglio da insegnante: se abbiamo letto tanto ai nostri figli, pretendiamo, sempre con logica dolcezza, che siano anche capaci di trasmetterlo scrivendo e parlando.

Dai 9-10 anni in poi “dillo meglio” e “arricchisci il tuo testo” sono due ottimi consigli per non buttare al vento la loro ricca interiorità linguistica.
Perché si può anche perdere, in quest’epoca di eccesso comunicativo, in cui sempre più spesso non è nemmeno più necessario parlare.

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