Ultima modifica 3 Gennaio 2017

Sono veramente felice quando i miei scritti fanno riflettere, specialmente se queste sono persone che io stimo profondamente e che, sono convinta, dovrebbero pubblicare tutti i loro scritti proprio per far riflettere sempre di più.

La persona in questione, chi mi segue da tempo, la conosce perché ho già proposto un suo scritto: è Sangeetha Bonaiti.  Per chi non la conoscesse, Sangeetha è una giovane donna che viene dall’India, adottata da piccola da una coppia di Bergamo, che lavora come infermiera presso l’ospedale della sua città ed è mamma felice di tre bimbi.

I suoi interventi sulla questione adottiva hanno, ovviamente, un punto di vista diverso al mio, dato che lei è figlia ed io madre. Opposto solo perché si trova dall’altra parte della barricata ma con una affinità di sentimenti che me la rende particolarmente cara. Mi sono trovata a leggere spessissimo le sue riflessioni sulla sua pagina facebook, ho sempre avuto da queste letture spunti per capire, imparare e accogliere situazioni che mi erano familiari ma che non venivano vissute da me direttamente ma dai miei figli e quindi da me capite solo in parte.

mamma_adottiva

Ed è proprio in risposta al mio ultimo scritto  che mi ha inviato questa sua lunga riflessione che mi “travolta” e che quindi passo a voi, con il suo consenso ovviamente, affinché possiate arricchirvi a vostra volta come me ne sono arricchita io.

Una cara amica, quando a gennaio scrissi il primo post sulla mia storia adottiva, mi disse che non pensava assolutamente che io avessi in me la ferita dell’abbandono, perché non ne avevo mai parlato prima e perché mi aveva sempre vista molto serena e tranquilla rispetto alla mia storia. Oggi dopo quasi un anno penso che ci siano parole, pensieri, idee che rimangono in noi e che non riuscire ad esprimerle non implichi assolutamente il fatto che esse non esistano. Anzi. La realtà le fa riemergere e a volte vengono a galla (attraverso forme diverse) e si fanno trovare. I silenzi non sono assensi, anzi spesso il silenzio è dissenso. Non ne parlo perché non ne capisco bene il significato…ne ho paura…non voglio ferire nessuno…non voglio ferirmi…non so se vengo capita.

Ad oggi, dopo un percorso interiore ancora tutto in divenire, posso affermare che ho fatto pace con me stessa per tutte le parole non dette.

Dire ad alta voce di un legame che sento presente e vivo con quella mamma indiana, dire che la ringrazio per la vita che mi ha dato, dire che ringrazio il mio papà indiano per avermi lasciata in ospedale (altrimenti oggi non sarei qui figlia, moglie e mamma) non è stato frutto di una imposizione del pensiero di altri su di me, ma di un lavoro incessante, estenuante che in questi mesi mi ha regalato una nuova me.

Non è che i miei genitori adottivi mi hanno detto: tu devi ringraziare i tuoi perché sei nata.
Me lo sono dovuta sudare io questa coscienza.

Ho dovuto fare io la mia strada, ho dovuto prendermi in mano sul serio. E ho guardato i segni più belli e veri della mia vita, i miei genitori adottivi, i miei fratelli, mio marito, i miei figli e tanti amici.

Tutto sommato a me è andata bene.
Non ho subito abusi né violenze. Ma tanti figli adottivi sì.
A voi genitori il compito di saper dosare e spiegare e rendere partecipi questi figli della loro storia, con dovuti modi e tempi (facendosi aiutare da chi ci è già passato o segue queste delicate dinamiche).
A noi figli il lavoro più arduo, cioè trovare la nostra strada, il nostro percorso, per trovare noi stessi.
La vita è cosa seria, difficile, drammatica. Ed un figlio adottivo lo sa.
La vita per lui è iniziata in modo duro, con l’abbandono. E questa durezza segna, plasma pensieri, parole che silenziosamente spesso fanno breccia. “Non sono degna di essere amata, se non mi hanno voluta già da piccola. Non mi merito tutto ciò che ho oggi. Io non valgo”. Lo so, brutti pensieri, duri.

Magari si esprimono con la rabbia, o con la tristezza, o con la paura di essere abbandonati. Meno male che trovano questi modi per uscire, altrimenti sarebbe la pazzia.
Allora credo che si debba lasciare che i figli adottivi tirino fuori da sé quel vissuto interiore che li perseguita (nei tempi e modi di ognuno), che possano sentirsi liberi e sereni nell’affrontare la propria storia, che possano avere il diritto di decidere per sé se ringraziare o meno i genitori biologici per la vita data.
Che possano scegliere se intraprendere o meno e il viaggio (fisico o spirituale) verso la propria origine.
Senza obblighi, senza imposizioni, senza scorciatoie.

L’ adozione non è una favola, non si sa se ci sia un lieto fine, non tutti arrivano a trovare sé stessi ed il proprio spazio nel mondo.

Non tutti saranno grati alla vita e ai genitori biologici e perché no, agli adottivi (ci sono anche adozioni difficili e dure). Dire: sei adottato, ringrazia i tuoi genitori biologici che ti hanno dato la vita o ringrazia i tuoi genitori adottivi che ti hanno accolto, non risolve tutta la ferita dell’abbandono che un figlio adottivo si porta con sé. È una scorciatoia. Perché prima di ringraziare la vita, devo attraversare personalmente la strettoia dell’abbandono. Tu genitore ci sei per accompagnarmi, non per sostituirti a me, ci sei per dirmi che insieme ce la possiamo fare anche se è dura, che ne vale la pena. E per dirmi che ne è valsa la pena che io venissi al mondo (dirmelo a parole, ma soprattutto nei fatti). –

Credo che i questo caso sia riuscita a rendere l’idea meglio di me.
A me monta subito la carogna; lei invece, con le sue parole sempre moderate, riesce a colpire e centrare il cuore del problema e ridimensionarlo con garbo e dolcezza.
Io sanguigna, lei equilibrata molto più equilibrata di me che eppure sono una figlia biologica e non adottiva.
Ed allora vedo e sento che una differenza profonda può esserci fra un figlio biologico ed uno adottivo: un figlio adottivo è sempre un figlio cercato, desiderato, “sudato” da parte dei genitori e lungamente atteso, elaborato mentalmente in quel periodo di attesa.
Un figlio biologico non sempre lo è; a volte è un meraviglioso dono inaspettato o desiderato e cercato più o meno a lungo, altre è uno spiacevole incidente. Quello che viene dopo è poi tutto inventare nel bene o nel male. Lei appartiene al primo gruppo, io al secondo, nel gruppo meno piacevole.
Lei risolta, io molto meno purtroppo. Credo sia per questo che Sangeetha riesce a dare una visione più lucida di quella che io possa mai dare.

Così, ancora una volta, grazie Sangeetha.

Riminese trapiantata per amore in Umbria da ormai 18 anni. Ex dietista e mamma attempata, di due fantastici figli del cuore che arrivano dal Brasile. Ma il tempo passa e i figli crescono (e non sia mai avere mamma sempre fra i piedi) ho ripreso a studiare e sono diventata Mediatore familiare, civile e commerciale. E a breve...mediatore penale.

2 COMMENTS

  1. Ciao sono una mamma adottiva di un ragazzo di 16 anni…sembra apparentemente sereno ma io lo so che dentro di lui c’è tanta rabbia. Non parla, non mi chiede niente del suo passato, io vorrei aiutarlo ad aprirsi ma nn ci riesco. Forse devo avere solo pazienza e aspettare che sia lui a decidere quando…

  2. Sentimenti e sensazioni descritti perfettamente…leggere articoli così ti fa davvero dire “ecco, è ciò che ho sempre pensato e qualcun altro lo ha scritto, interpretandomi “…sono una figlia adottiva, ho due genitori (ora solo uno purtroppo) di ❤ fantastici, una mamma di pancia che ho cercato da sempre e trovata troppo tardi…la mia piccola dolce Lella non c’è più…vero vero…quante volte ho pensato “non mi hanno voluto, cosa posso meritare? “…. chapeau

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