Ultima modifica 10 Ottobre 2019

Stamattina mi ha scritto una mia cara amica, compagna di classe alle medie e parte del liceo. Lei è Claudia che si è raccontata qui: Mamme adottive: vi presento Claudia!
Ha due figli che ora sono adolescenti e quest’anno ospitano una ragazza americana grazie ad un programma di Students Exchange. Il motivo per cui mi ha contattata è per avere qualche dritta sul mondo dei teenagers da questa parte dell’Oceano, avendo io più esperienza diretta sul campo. Così ho deciso di condividere con voi coò che le ho risposto.

giovani

Io ho una figlia di 13 anni e un figlio di 15, arrivati qui a 9 e 11 anni. Quello che racconto si basa sulla mia esperienza diretta con le persone che ho incontrato qui, sui racconti degli amici dei miei figli, e su quello che vedo con i bambini dell’asilo che seguo. Quindi, ancora una volta, ci tengo a ribadire che la mia non è verità assoluta. Ma dopo aver raccontato a Claudia le mie esperienze, ho confermato le sue sensazioni.

Come già ho detto in precedenti articoli, la maggior parte degli amici dei miei figli hanno i genitori separati. Molti di loro poi si sono costruiti una successiva famiglia. O più di una (ahimé non ci si limita ad un solo divorzio!). Troppo facile divorziare qui. Ed ecco il primo problema che risalta durante l’adolescenza: questi ragazzi imparano fin da piccoli che al primo problema ci si arrende. Si volta pagina per cominciare un nuovo capitolo, senza preoccuparsi più di tanto di ferite sanguinanti, di lacrime o quant’altro. E lo si vede subito nel campo dell’amicizia: se un’amica o un amico dicono una cosa che non piace, bon! Amicizia chiusa. Non ci si chiarisce. Da un giorno all’altro non ci si parla più. Per poi magari un giorno ritornare amici e riallontanarsi il mese dopo.

Altro problema: sembra che nessuno abbia voglia di fare il genitore. Spesso perché si diventa genitori a 16-17 anni quando non si ha l’esperienza necessaria. Allora per sorvolare il problema si fanno fare ai figli mille attività extra: corso di tennis, nuoto, baseball, teatro, danza, coro, attività extra-scolastiche. I ragazzi devono essere impegnati 16 ore al giorno, così arrivano a casa stanchi, mangiano IN PIEDI e vanno a dormire. E hanno evitato di dover fare i genitori ancora una volta. Senza contare che non si siedono mai intorno ad un tavolo a mangiare e quindi a parlare, ma si mangia in piedi prendendo dal frigo quello che c’è. Significa che non hanno un momento di condivisione. Nessuno racconta cosa succede intorno a loro. Per non parlare di sessualità… altro vuoto assoluto, un tabù. Ci deve pensare la scuola.

I miei figli sono sconvolti da questo tipo di “non” famiglia. Fortunatamente loro hanno un altro esempio. Ma vi posso assicurare che quando questi ragazzi entrano in casa nostra, rimangono stupiti da alcuni gesti: l’affetto (il bacio, l’abbraccio, fra genitori e figli, ma anche fra fratello e sorella!), la tavola apparecchiata, la mamma che cucina e si mangia TUTTI INSIEME e senza televisione accesa… PAZZESCO! Per concludere con: a tavola chiacchieriamo, ridiamo e scherziamo. Non litighiamo, non davanti agli ospiti, ovviamente.

Famiglia-a-tavola

E lo vediamo anche quando andiamo a parlare con gli insegnanti: i nostri figli vanno bene a scuola e si comportano bene quindi si stupiscono nel vederci. E si preoccupano perché pensano di aver fatto qualcosa di sbagliato! “C’è qualcosa che non va?” “Non so, me lo dica lei. Come va a scuola? Si comporta bene?” e ci guardano come fossimo alieni. Non si usa andare a conoscere gli insegnanti se tutto va bene.

Se anche voi state pensando ad uno Students Exchange, tenete conto di questo. Magari vi capita quello studente che arriva da una famiglia “normale”, ma tendenzialmente vivere in una famiglia italiana, colma delle grosse lacune e la partenza per tornare alla loro vita di sempre, potrebbe essere un trauma per loro. Continuate a mantenere i contatti se potete. Fateli sentire parte della vostra famiglia!

Renata Serracchioli

Nata ad Ivrea, con il mio compagno condividevo un sogno: vivere in America. Ed è grazie a lui e al suo lavoro (il mio l’ho perso a causa della crisi) che il nostro sogno si realizza.

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